"Il divo": il capolavoro che stavamo aspettando!

Paolo Sorrentino ha recentemente dichiarato che per lui il cinema è composto soprattutto da immagini e musica; concetto che lo avvicina moltissimo alle idee di registi, come René Clair e Walter Ruttmann (per non citare Charlie Chaplin), che all’inizio del sonoro rifiutavano interamente l’uso del parlato dando alla musica un ruolo preponderante.
Sorrentino ha poi spiegato che nei suoi film i dialoghi sono inseriti soltanto quando li reputa assolutamente necessari a supportare la narrazione; l’idea magnifica, e perfettamente riuscita nel capolavoro Il divo, è quella di far comunicare il più possibile le sole immagini, che sono da sempre la base più importante del Cinema.
In realtà, però, l’ultimo film del(l’ormai) grande regista italiano è un’opera incentrata sui dialoghi. Ma non nel senso convenzionale del termine…

 

 

Il dialogo audiovisivo

Michel Chion, il cui “L’audiovisione suono e immagine nel cinema” (Lindau, 2001) è un riferimento fondamentale per questo paragrafo, non sarà rimasto contento dalla visione de Il divo perchè sarà probabilmente costretto a scrivere un nuovo libro, includendovi prepotentemente l’opera sorrentiniana.

Ancora al giorno d’oggi, la maggioranza assoluta degli autori europei trascura del tutto le importanti innovazioni fatte nel sonoro negli ultimi decenni.

Bisogna oltrepassare l’oceano per trovare registi di nome che abbiano cercato di incrementare la sensorialità spettatoriale tramite il suono: Coppola, Malick e, più di tutti, David Lynch.

Paolo Sorrentino, con questo film, conferma (migliorandosi) di essere uno dei pochi in Europa a sviluppare il suo cinema dando pari importanza e dignità alla percezione visiva e a quella sonora, che si influenzano reciprocamente mediante il fenomeno del valore aggiunto (cfr. Michel Chion).

Durante la splendida scena in cui viene fotografato il settimo governo Andreotti, c’è una sospensione: la mdp si avvicina al volto del protagonista, mentre i suoni intorno sembrano gradualmente fermarsi e, insieme ad essi, sembra bloccarsi anche l’immagine sul volto immobile di Toni Servillo, come se stessimo vedendo noi stessi una delle fotografie che i giornalisti stanno scattando. Sembra quasi che l’immagine e il suono si fermino contemporaneamente; il mondo audiovisivo così si immobilizza per ascoltare con attenzione la voce interiore del protagonista.

Impossibile non citare poi la scene visive per eccellenza: i piani sequenza che Sorrentino gira maestosamente.

Uno dei più interessanti è quello alla festa di Pomicino. La mdp gira intorno alle stanze, scrutando l’ambiente che si trova dinnanzi, mentre la musica suona a ritmo furioso.

Inizialmente ci ritroviamo nella stanza più caotica: luci che sembrano seguire una velocità più sonora che visiva, ragazze che ballano sul cubo, musica altissima. La mdp cerca di passarci velocemente, non può essere qui il protagonista, deve continuare a cercare.

Lo troviamo in un’altra stanza, uguale alla precedente per musica e architettura, ma opposta per movimento e posizione dei personaggi.

Ad un certo punto la mdp sembra fermarsi per ascoltare qualche parola di Livia Danese al marito e, come per incanto, sembra (o succede davvero?) che anche la musica si abbassi per qualche secondo: una sensazione di pausa, questa volta, del movimento audiovisivo, che si ferma per qualche attimo, per poi proseguire a breve il suo sincrono movimento.

La scena, forse, più significativa di tutta la pellicola, a livello più contenutistico che formale, è però un’altra.

Giulio Andreotti, in preda ad un fortissimo stress che cerca di nascondere durante il giorno, cammina tutta la notte avanti e indietro per il corridoio di casa sua.

La mdp lo segue come può, soprattutto, mentre è al centro (luminoso) della sua “passeggiata”; agli estremi c’è invece il buio che nasconde la sua figura; nemmeno le due statue che sembrano scrutare il suo tragitto, riescono a vedere la fine del corridoio. Sentiamo soltanto i suoi passi, indizi sonori materializzanti della sua presenza, che ci fanno percepire che si trova ancora nel nostro campo visivo, è solo l’oscurità a negarcelo.

Potrebbe essere la scena simbolica di tutto il film: Sorrentino ci porta alla luce dei frammenti di Andreotti (il passaggio centrale), ma il personaggio resta comunque oscuro nel finale. Non si può cogliere definitivamente la soluzione dell’enigma che aleggia attorno al divo Giulio.

Ci fermiamo, ma si potrebbero citare molte altre sequenze, per mostrare come Sorrentino abbia dato grandissima attenzione a suono e ad immagine.

Entrambe le percezioni sono sviluppate perfettamente e il regista (caso raro per l’Europa) riesce a farle dialogare in un maestoso concerto audiovisivo come se ne sono visti davvero pochi nella storia del cinema.

Michel Chion, forse, da una parte non sarà contento dopo aver visto Il divo per i motivi detti; dall’altra però sarà certamente ammirato e soddisfatto da Sorrentino che sembra aver imparato ed applicato alla perfezione uno dei concetti cardine del teorico francese: «Non vedo la stessa cosa quando sento. Non sento la stessa cosa quando vedo».

 

 

Il dialogo con lo spettatore

«Tenetevi forte alle sedie!» si sente a circa metà pellicola: un saggio consiglio da dare agli spettatori, che potrebbero rimanere estremamente colpiti e spaesati dalla visione del film.

Il divo dialoga con il pubblico per tutta la sua durata.

Con la prima immagine vanno a sfaldarsi i dubbi che Sorrentino abbia girato un film poco personale o legato unicamente a basi contenutistiche, storiche e sociali.

Il regista ci comunica fin da subito che il film è interamente suo, e lo sarà fino alla fine.

Vediamo infatti un incipit con Andreotti che tenta un particolarissimo (e grottesco) rimedio contro l’emicrania; la stessa identica procedura, solo con un metodo diverso seppur altrettanto bizzarro, che faceva Geremia De Geremei all’inizio de L’amico di famiglia.

La voce interiore soggettiva del protagonista, che riprenderebbe la sua scrittura sul diario, sembra parlare direttamente con noi spettatori; come se il personaggio Andreotti si fidi di noi e voglia rivelarci i suoi segreti nascosti.

Ma forse è solo una nostra illusione, il vero mistero della sua vita è svelato in campo a Francesco Cossiga: l’amore per Mary Gassman, sorella del ben più celebre Vittorio.

Fondamentale sarà anche il momento del monologo di Andreotti, che si sfoga rivolgendosi alla moglie, ma parlando in realtà con noi spettatori.

Sorrentino gli costruisce intorno una scenografia di natura esplicitamente teatrale, con sipario e riflettori che puntano su di lui. Una volta che ha finito di parlare, questi si spengono: lo spettacolo del potere rivelato, per il momento, è terminato.

Altrettanto imporante è il meraviglioso piano sequenza finale, in cui prima la mdp segue Andreotti di spalle, poi ci regala un’emozionante falsa soggettiva, e infine termina sul suo primo piano: sul suo volto nel quale scorgiamo una lacrima formarsi nella pupilla destra.

Il divo Giulio aveva detto che aveva pianto solo due volte nella sua vita: quando morì De Gasperi e quando venne nominato per la prima volta sottosegretario.

La terza volta è per noi spettatori: si commuove guardandoci negli occhi. Quegli occhi che hanno appena visto, seguito e giudicato la sua storia e che ora riflettono la sua sagoma… proprio come le pupille di un gatto bianco che si trovava casualmente (?) nei corridoi del potere.

 

 

Il dialogo con la storia del cinema

Il divo è un’opera che mostra la straordinaria conoscenza di Sorrentino del mezzo cinematografico.

Il regista riesce a realizzare un’opera coraggiosissima per i contenuti e monumentale per la forma, arrivando a far dialogare (con grande stile ed equilibrio) omaggi e riferimenti alla storia del cinema con idee originali e personali.

Una delle scene di maggior impatto di tutto il film è quella dell’arrivo della “corrente andreottiana”. Una meravigliosa danza western a Montecitorio, dove Sorrentino riesce a far dialogare due dei più grandi registi del genere della storia: i suoni e il senso di attesa di Sergio Leone si vanno ad unire alla dilatazione temporale di Sam Peckinpah.

Una scena-capolavoro per la quale è necessario andare a circa 40 anni fa per trovarne di pari livello nel cinema italiano.

Omaggio o meno, Sorrentino realizza poi un magnifico montaggio della attrazioni, tecnica tipicamente Ejzensteiniana, che nell’ “autoriale” e “colto” cinema odierno non viene praticamente più usata.

Alla corsa di un cavallo al galoppo, si va a sostituire alternativamente quella di un uomo (Salvo Lima) che cerca di sfuggire alla morte.

E’ certo però che i riferimenti maggiori sono quelli al cinema anni ’70: dal forte impegno sociale che parte spesso dal grottesco di Petri, al bicchiere effervescente Scorsesiano (che a sua volta omaggiava Godard), al massacro iniziale Coppoliano, con il quale si vanno ad eliminare uno ad uno tutti i “nemici” del “boss”.

Forse però sono proprio le sequenze interamente sorrentiniane quelle più straordinarie: le angolazioni, l’uso degli specchi, la mdp che non stacca praticamente mai; non ci sono tagli (ad es.) dall’immagine riflessa di Moro nello specchio alla sua scomparsa, o dal riflesso di Andreotti in uno specchio del Vaticano all’arrivo (lontanissimo) al suo primo piano.

Impossibile non citare poi la già memorabile sequenza dello skateboard (geniale idea del regista): oggetto che parte dal Palazzo (i mandanti) e giunge al piccolo tunnel (gli esecutori) che porta all’esplosione nella quale muore Giovanni Falcone.

Il divo è un capolavoro perfetto in tutte le sue componenti: sia contenutistiche che formali.

Un magnifico bricolage musicale postmoderno, nel quale svetta la scena con la canzone più popolare e conosciuta in assoluto: il magico momento de I migliori anni della nostra vita (scelta da Sorrentino per il suo testo perfettamente aderente alla situazione mostrata).

Delle interpretazioni straordinarie che sarebbero da citare tutte: Piera degli Esposti, Fanny Ardant, Giulio Bosetti, Franco Bucci, Carlo Buccirosso… e, naturalmente, i due protagonisti.

Anna Bonaiuto, che si conferma la più grande attrice italiana che abbiamo (forse è tempo di capirlo); e, soprattutto, lui: Toni Servillo, uomo ed attore immenso, che ormai non è più semplicemente sulla scia dei Volontè, dei Mastroianni, dei Gassman…e gli altri Nostri massimi attori che raggiunge ufficialmente con questo film, che lo proietta ad essere, non solo il più grande attore italiano vivente (questo lo sapevamo già dal bellissimo Le conseguenze dell’amore), ma uno dei migliori al mondo.

Anche se naturalmente il plauso più grande va a Paolo Sorrentino (anche per una perfetta sceneggiatura, scritta da solo) che entra oggi nel clan dei maggiori registi europei viventi, e se pensiamo che non ha ancora compiuto quaranta anni… ci vengono i brividi (di gioia ed emozione naturalmente) a pensarci.

Grazie soprattutto alla sua regia (come non esaltarsi già nei primi minuti con quei movimenti di macchina tesi a “raddrizzare” le didascalie/presentazioni in rosso) perfettamente conscia delle basi linguistiche del cinema e perfettamente equilibrata nel rapporto forma-contenuto, Il divo è un capolavoro vero e proprio, fra i massimi film visti nel nuovo millennio.

Un’opera d’arte di cinema assoluto, che ci fa gridare rimanendo in silenzio.

Forse è proprio lo stesso tipo di silenzio che colpiva le persone che entravano nell’archivio andreottiano.

Una sensazione che porta Il divo ad entrare a far parte di un altro tipo di archivio: quello dei capolavori che la storia del cinema ci ha regalato.


Chimy

Voto Chimy: 4/4

PREMESSA: dato che sarebbe inutile farlo, non ripeterò una parola di quanto detto da Chimy, in quanto sottoscrivo e approvo ogni sua singola sillaba. Cercherò dunque di scrivere il poco che credo sia ancora necessario dire. In realtà non è poi così tanto poco, ma è meno di quello che ha scritto Chimy. Quindi rallegratevi, se siete arrivati fino a qui manca poco a finire. Però, se siete stanchi, fate una pausa.

 

Introduzione

Popolarità e potere, immagini e musica, Servillo e Sorrentino: i primi proiettati (sullo schermo), i secondi proiettori (di senso e valore).

Sul piano simbolico contenutistico, sul piano linguistico e sul piano diegetico “Il divo” è la perfetta comunicazione continua di due mondi indissolubili.

 

Punto di vista, punto d’ascolto

Pensare che “Il divo” sia un film in cui venga privilegiato il punto di vista di Andreotti, appare riduttivo. La realtà, infatti, è che il film alterna, in continuazione, punti di vista differenti. Questo non accade con un ordine preciso, ma si passa da sequenze con punto di vista di Andreotti, ad altre con altri punti di vista soggettivi ed altre ancora con punti di vista oggettivi. Fin qui, a ben vedere, nulla di strano. Il problema è la percezione da parte dello spettatore. Perché spesso il punto di vista rimane incerto, non facilmente identificabile.

Ad esempio, prima seduta di Andreotti di fronte alla Commissione d’inchiesta parlamentare: il punto di vista è di Andreotti, e lo si evince facilmente dalla soggettiva piena che apre la sequenza. La macchina da presa resterà sempre al servizio della soggettività di Andreotti. La seconda seduta, invece, si apre dalla parte del presidente della commissione, e di compone di una serie di zoom incrociati sulle varie risposte di Andreotti. Il flusso è spezzato, varia di angolazione, il punto di vista è, in senso figurato, quello dell’intera commissione. Andreotti, comunque, rimane al centro, anche scenografico, della sequenza.

Ne “Il divo” al centro dell’attenzione c’è sempre Andreotti, anche quando non è direttamente  il soggetto, perché, in tutti gli altri casi, lui resta comunque l’oggetto. A caricarsi di questo nella diegesi c’è Toni Servillo, a caricare di questo fuori dalla diegesi c’è Sorrentino.

Il piano sequenza finale è emblematico: si passa da una soggettiva, che scopriremo essere una semi soggettiva (una perfetta falsa soggettiva felliniana), ad un dolly che fa un punto di vista oggettivo della corte dei giudici, ad un primo piano con punto di vista soggettivo di Andreotti. Su quest’ultimo primo piano è importante ciò che udiamo: è una voce registrata (di Aldo Moro) che parla del divo Giulio.

Per quanto riguarda la parte uditiva è però necessario parlare di punto d’ascolto.

Il punto d’ascolto (una trasposizione sul piano uditivo del punto di vista), è invece sempre oggettivo. Perché il punto d’ascolto è sempre e solo quello dello stesso spettatore. Il dialogo con lo spettatore (vedi analisi Chimy) non è soltanto quello di Andreotti, ma anche quello di Sorrentino, e non solo in senso di firma autoriale, ma per il modo con cui musiche, suoni e silenzi sottolineino il dialogo visivo. Quando la carcassa dell’auto di Falcone cade in ralenti, il silenzio (che non è mai neutro) è dato dal rumore, lievissimo, delle parte meccaniche e della carrozzeria distrutta. L’esplosione è l’assordante prezzo da pagare per aver assistito al silenzio della strage.

Il punto di vista e d’ascolto, infine, impone un oggetto dello sguardo più ampio, che non interessa la diegesi ma di cui la diegesi è un simbolismo.

 

Oggetto dello sguardo

“Il divo” non è un film su Andreotti, ma IL film sull’Italia.

Seguendo un sillogismo aristotelico allora verrebbe da dire che Andreotti è l’Italia. Non in senso assoluto, ma sicuramente in senso relativo. Prendendo in esame “Il divo”, Andreotti simboleggia l’Italia nella sua complessità. E come scrisse (e disse, nel film) Scalfari, è la complessità a fare la grandezza. La grandezza dell’enigma.

L’Italia, politica, è enigmatica: macchinazioni, corruzioni, omicidi. L’Italia è, per semplificare, machiavellica.

L’Italia, umana, è enigmatica: le reazioni sono incontrollate, selvagge, impulsive, ingenue. L’Italia, rifacendoci alle parole di Andreotti, è, per questi motivi, viva.

Andreotti è machiavellico, senza ombra di dubbio, ma è vivo. Nel suo machiavellismo freddo e calcolato ha avuto reazioni e passioni incontrollate.

Andreotti è l’Italia.

L’Italia è Andreotti.

Perché l’Italia è nata democristiana e morirà democristiana.

 

L’informazione silenziosa (perché zittita)

Una piccola parentesi riguardante l’allegoria Italia tramite il divo Giulio è contenuta nel meraviglioso dialogo tra Eugenio Scalfari e Andreotti.

Scalfari elenca minuziosamente alcune delle accuse dirette ed indirette nei confronti di Andreotti, ipotizzandole, per sottinteso sapiente, delle casualità. Andreotti non risponde, perché è stato lui a salvare “La Repubblica”, nel ’91, dal tentativo di acquisizione di Silvio Berlusconi. Un favore non chiesto da Scalfari, ma che, in quanto ricevuto, dovrebbe comportare un atteggiamento servizievole.

Nel film Scalfari replica invocando la complessità, Andreotti fa altrettanto. Dopodiché la conversazione viene interrotta, Sorrentino non vuole venga aggiunto altro.

In Italia, l’informazione e il mondo politico si parlano come Scalfari e Andreotti. Cioè senza risultati concreti nelle mani del cittadino (e dello spettatore).

 

Caso vs Volontà di Dio

Due termini che designano la stessa cosa.

Due approcci differenti: uno laico, l’altro cristiano.

Scalfari parla di caso, Andreotti di volontà di Dio. Curioso parlare di volontà di Dio quando riguarda la morte di qualcuno. A ben vedere, in questo caso, l’approccio (demo)cristiano di Andreotti non appare così tanto figlio della benevolenza del Signore.

 

Scrittura

Ciò che è scritto, ne “Il divo”, è fondamentale. Sia ciò che è scritto sullo schermo che ciò che è scritto per lo schermo.

Il glossario iniziale scorre sullo schermo in un silenzio imbarazzante. Sorrentino sceglie di accompagnare le didascalie sfruttando il classico silenzio in cui cade la sala ad inizio film. In questo caso, noi spettatori, siamo costretti ad assimilare informazioni (per alcuni già note) in religioso silenzio. L’informazione in questo caso è silenziosa, ma non zittita, anzi, zittisce.

Le scritte rosse, invece, che presentano luoghi e persone e che appaiono durante tutto il film sono spaventosamente perfette. Nella loro obiettivamente frequente ed aggressiva presenza non disturbano mai.

Parlando di sceneggiatura “Il divo” lascia a bocca aperta. La sintesi raggiunta da Sorrentino è sorprendente. Il mosaico di fatti privati e pubblici che Sorrentino sceglie di portare sullo schermo è scritto e intervallato con precisione millimetrica.

Niente è inutile, nient’altro serve.

Tutto ciò che c’è è quello che basta.

Due parole vanno anche dette per Giuseppe D’Avanzo, giornalista da sempre interessato alla vita di Andreotti che ha partecipato alla sceneggiatura in qualità di consulente. C’è già chi, in Italia, critica il film per la sua presenza (considerandolo solo un anti Andreotti senza scrupoli) e per le presunte forti insinuazioni mosse contro Andreotti.

La realtà è che ne “Il divo”, nel momento in cui viene fatta una presa di posizione forte, successivamente questa viene smentita o comunque acquisisce incertezza. Ad esempio: l’incontro con Riina (l’attore è un sosia), non è girato dal punto di vista di Andreotti, ma da quello del’autista del boss, che sta confessando agli inquirenti.

Il risultato è muovere dubbi, e non dare risposte. E’ prima mostrare, poi dimostrare, poi mostrare che la dimostrazione non era sicuramente certa.

 

Paul Thomas Sorrentino

“Il divo” è per l’Italia quello che “Il Petroliere” è per il capitalismo.

Ma “Il divo” è, paradossalmente, ancor più mascherato, perché il personaggio chiave non è un “anonimo” Plainview, ma il divo Andreotti.

Tra l’altro, curiosamente, Paolo Sorrentino e Paul Thomas Anderson hanno inquietanti punti di contatto: coscritti (1970), omonimi (Paolo), hanno fatto un film sul sottomondo del denaro (“Amico di famiglia”, “Sidney”), uno sul sottomondo dello spettacolo (“L’uomo in più”, “Boogie Nights”), una non convenzionale storia d’amore (“Le conseguenze dell’amore”, “Ubriaco d’amore”), e una forte riflessione critica sul proprio paese (“Il divo”, “Il petroliere”). A Sorrentino manca solo un film corale e poi siamo apposto.

In più entrambi scrivono le proprie sceneggiature, sono attenti alle musiche e sono due registi dalla forte firma autoriale.

Sorrentino è il P.T.A. Italiano.

Per assoluto e dovuto rispetto, P.T.A. è il Sorrentino statunitense.

 

Conclusione

“Il divo” è un capolavoro.

“There will be blood”, scorrerà il sangue, era una profezia.

“Il divo”, invece, è il reiterarsi della stessa certezza: l’Italia avrà sempre un suo divo, vecchio o nuovo, perché il divo, nella sostanza, è sempre uguale, e quindi, anche l’Italia.


Para
Voto Para: 4/4

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82 commenti

  1. ad una seconda lettura vorrei solo aggiungere un “santa” dopo il “madonna”…
    vi voglio bene
    (sempre estremamente tecnici i miei commenti vero? ^^)

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  2. Dome, ti vogliam bene anche noi! 🙂
    I tuoi commenti sono sì tecnici, perchè sono tecnicamente inutili! 🙂
    Ovviamente senza questi tuoi commenti Cineroom non avrebbe senso di esistere. 🙂
    Grazie Dome!
    Saluti.
    Para

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  3. Strano che in questo periodo splinder faccia ciò che vuole…DANNATO!

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  4. SPLINDEEEEEEER!

    Rispondi
  5. Che recensioni!! Il riferimento a Chion mi ricorda tanti film di Godard che ha tentato di “lavorare” il suono come si fa con le immagini (il suono non ha un’unità specifica al contrario dell’immagine – il piano -). Se, come mi avete dimostrato in questa mirabile recensione, Sorrentino lavora col suono come Godard e Lynch… ehm… allora abbiamo trovato (in Italia, incredibile!) un genio. A questo punto non mi resta che vedere Il Divo e osservare anche (oltre agli attanti) questi stupendi, misteriosi, oggetti sonori.^^

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  6. Evito di manifestare l’ormai stucchevole ammirazione per le vostre recensioni. Il fatto è che osservate delle cose che fanno sempre, e sottolineo sempre, venir voglia di discutere, rivedere il film, argomentare e così via. Questa dovrebbe essere la critica (che sia free o meno): un volano d’interesse. E la vostra lo è al massimo grado.

    Ciò detto, passo ad alcune osservazioni dissenzienti:

    @Chimy: parlando dei piani sequenza (credo però che a rigore molti siano più long take che veri e propri piani sequenza, ma potrei sbagliarmi) dici: “Uno dei più interessanti è quello alla festa di Pomicino. La mdp gira intorno alle stanze, scrutando l’ambiente che si trova dinnanzi, mentre la musica suona a ritmo furioso”.

    Ecco, a me è sembrato di una tamarraggine bestiale, un carrello da frecce tricolore. Perché ? non saprei, semplice questione di gusto è la sola coisa che mi viene da dire.

    Poi, riferendoti all’attività dialogica con lo spettatore dici: “«Tenetevi forte alle sedie!» si sente a circa metà pellicola: un saggio consiglio da dare agli spettatori, che potrebbero rimanere estremamente colpiti e spaesati dalla visione del film.
    Il divo dialoga con il pubblico per tutta la sua durata.”

    Qui a mio avviso centri perfettamente il cuore del film, che altro non è che un’esclamazione continua. L’enunciazione filmica pare avere il punto esclamativo permanente e a me questo tipo di dialogo (che definirei più maliziosamente intim(id)azione) non piace. Capisco che possa affascinare per vis polemica e parossismo declamatorio. A me no, grazie, preferisco altre forme discorsive meno enfatiche. Di nuovo è una questione di gusto (non sto insomma dicendo che il film non riesca a fare ciò che si propone di fare, solo che si propone di fare qualcosa che non mi interessa dal punto di vista cinematografico ed espressivo).

    Anche l’invettiva-interpellazione di Andreotti (la scena in cui si sfoga guardando in macchina, mi pare) mi sembra rispondere alla stessa strategia proclamatoria.

    Non mette conto parlare, per il sottoscritto, del montaggio alternato tra corsa dei cavalli e omicidio Lima: al di là degli ipotetici giochi di sponda col cinema di altri registi, si tratta (almeno per me) di un montaggio letteralmente assassino. De gustibus.

    Trovo infine francamente capziosa e criticamente bloccante (ma non è certo responsabilità tua) la distinzione netta tra forma e contenuto. Le preferisco senza esitazioni la nozione, olisticamente orientata, di stile come trattamento complessivo della materia.

    Dal momento che a Para ho già un po’ risposto sul mio blog, mi riservo di tornare sulla sua rece in un secondo momento.

    Spero (ma sono sicuro che sarà così, visti i precedenti) che possiamo tranquillamente discutere delle nostre divergenze senza per questo intaccare la stima reciproca.

    A presto

    Ale

    Rispondi
  7. Applausi. A Para & Chimy, ovvio. Un solo consiglio: se volete che il vostro blog abbai lo spazio che si merita nella blogosfera, cercate di “frenare” un poco l’entusiasmo analitico, partorendo post un po’ più corti. Ha fretta, il blog-lettore…Vi abbraccio.

    Rispondi
  8. A costo di ripetermi per l’ennesima volta ma, i complimenti per le vostre analisi sono d’obbligo, specie in ques’occasione!!!
    E mi è venuta una voglia folle di rivederlo ^___*

    Weltall

    Rispondi
  9. anonimo

     /  2 giugno 2008

    Bellissima analisi, complimenti, il film lo vedrò domani e potrò naturlamente dissentire su tutto.
    Nel frattempo mi lamento perchè
    CHION E’ UN CIALTRONEEEEEE!!!!

    Legolas

    Rispondi
  10. @cinemasema: grazie Luciano! Secondo me più come Lynch che come Godard. Ma il succo è che qui l’audiovisione è al massimo grado. 🙂
    Attendiamo la tua rece!

    @alespiet: in attesa di tue considerazioni ti ringrazio davvero per le parole!

    @conte: grazie Conte! E’ dura, caro Conte, frenare tutte le considerazioni che certi film muovono in noi. E poi è un piacere scriverle, potrei farlo e lasciarle in una cartella, ma già che ci sono le pubblichiamo. 🙂

    @weltall: grazie Weltall! Attendiamo la tua rece, allora.

    @legolas: beh, se parti già dicendo che Chion è un cialtrone allora non ti piacerà la recensione, specie quella di Chimy. Però son quasi sicuro che il film ti piacerà lo stesso.
    Se finisce come Cloverfield stavolta parte la rissa. 🙂

    Saluti a tutti.
    Para

    Rispondi
  11. Condivido con voi la lunghezza di certe analisi.

    Per una volta non siamo, però, così in sintonia.

    Anche se il film alla fine mi è piaciuto, buonanotte.

    Rob.

    Rispondi
  12. ebbene sì, sorrentino mostra l’estrema ed estremistica padronanza del mezzo, una padronanza urlata, sorrentino ha la mano pesante e trovo la definizione del p.t.a. italiano azzeccatissima.

    dopo 10 min. di visione confermo la pelle d’oca, il momento esatto quando la scritta rossa ruota e si mette in senso perpendicolare allo sguardo dello spettatore..

    Rispondi
  13. @rob: ho appena commentato da te!:)

    @williamDolace: ciao, benvenuto su Cineroom. Hai perfettamente ragione, e il momento che descrivi è uno dei primi in cui puoi metterti le mani nei capelli dalla gioia. 🙂

    Saluti.
    Para

    Rispondi
  14. non l’ho ancora visto… verrà il giorno…

    Rispondi
  15. @tutti: grazie di cuore dei complimenti ^^

    @legolas: non provare a tornare dicendo che non ti è piaciuto ^^

    @alespiet: eccomi finalmente a risponderti ^^.

    “credo però che a rigore molti siano più long take che veri e propri piani sequenza”

    Quelli che ho citato (tre) sono piani sequenza. Poi nel film ci sono moltissimi long take. Con la seconda visione ho controllato ^^

    Sulle varie parti che hai citato, allora semplicemente abbiamo avuto gusti diversi.
    Torno però un secondo sul montaggio delle attrazioni… non vorrei che la definizione che tu gli dai: “assassino”, nasca dal fatto che questo tipo di scelta registica non venga più fatta molto da registi “colti”, e quindi abbiamo perso l’abitudine a reputarla una scelta molto interessante. Mia supposizione, magari sbagliatissima.

    Sono d’accordo sulla tua idea sullo stile… però, questo film, secondo me è un caso particolare in cui è giusto dividere (sia per chi ne parla, sia per chi ha fatto il film) forma e contenuto.
    Perchè il contenuto è qualcosa di staccato obbligatoriamente (per le cose di cui si vanno a parlare, che non sto a citare) dalle scelte di forma di Sorrentino, che saggiamente non ha pensato di fare un film meramente sociale (def. generica, ma va bene qualsiasi altra.. tanto so che hai capito il senso ^^) ma ha fatto del CINEMA (anche su questo non sto a dilungarmi…).

    “Spero (ma sono sicuro che sarà così, visti i precedenti) che possiamo tranquillamente discutere delle nostre divergenze senza per questo intaccare la stima reciproca. ”

    Ci mancherebbe altro…anzi. Come hai detto tu è bellissimo discutere in questo modo. E neanche se avessimo divergenze così ampie su 10milioni di film la stima sarebbe minimamente intaccata.

    Un salutone

    Chimy

    Rispondi
  16. @simone: recupera, recupera ^^

    Chimy

    Rispondi
  17. “Quelli che ho citato (tre) sono piani sequenza. Poi nel film ci sono moltissimi long take. Con la seconda visione ho controllato ^^”

    Ah bene, infatti non ero sicuro (e dire che il film l’ho visto due volte di seguito in sala!). Con una tale propensione all’acrobazia visiva ci sta anche di confondersi un po’^^

    Ne approfitto per segnalare la sola sequenza che mi sia piaciuta (che se non vado errato è parzialmente ripetuta), quella della prima passeggiata notturna verso la chiesa con Andreotti che si ferma sgomento davanti alla scritta sul muro che lo accusa di essere responsabile delle stragi di stato. Nonostante il commento musicale sia immancabilmente ridondante (non tanto il brano impiegato quanto l’accostamento all’immagine), lì si raggiunge un effetto-sospensione che quanto meno non imbriglia del tutto il senso nei binari dell’ovvietà. Si può insomma pensare che Andreotti sia atterrito, infastidito, diabolicamente soddisfatto o semplicemente stupito (e altre ipotesi ancora) da quella scritta. Qui vi è traccia di libertà semantica: non che la sequenza mi abbia esaltato, sia chiaro, ma un suo perché mi è sembrato averla.

    “Sulle varie parti che hai citato, allora semplicemente abbiamo avuto gusti diversi”.

    Guarda, la cosa sta proprio così: dipende esclusivamente dalle differenze di gusto, perché non rimprovero al film di riuscire nel suo intento né a te di porre l’accento su aspetti poco significativi della strategia stilistica del film. Sicché (mi rendo conto che la cosa è abbastanza deludente) si tratta solo e soltanto di una differenza di gusti (che tuttavia una sua utilità credo ce l’abbia, non so quale ma ne sono abbastanza sicuro ;)).

    “Torno però un secondo sul montaggio delle attrazioni… non vorrei che la definizione che tu gli dai: “assassino”, nasca dal fatto che questo tipo di scelta registica non venga più fatta molto da registi “colti”, e quindi abbiamo perso l’abitudine a reputarla una scelta molto interessante. Mia supposizione, magari sbagliatissima”.

    No, gli appioppo quell’epiteto perché secondo me gli calza a pennello. Qul montaggio alternato giustappone un evento piuttosto ordinario a un assassinio sul piano diegetico e “assassina” il senso sul piano semantico, poiché configura la lotta per il potere come una competizione (per di più Andreotti si tocca la fede in segno di contrarietà). Accade tutto il contrario della sequenza che a me è piaciuta: non si lascia spazio all’ipotesi, alla supposizione, alla sospensione. Il senso espresso da questo montaggio è tirannico, indiscutibile: una verità inconcussa. No grazie.

    “questo film, secondo me è un caso particolare in cui è giusto dividere (sia per chi ne parla, sia per chi ha fatto il film) forma e contenuto.
    Perchè il contenuto è qualcosa di staccato obbligatoriamente (per le cose di cui si vanno a parlare, che non sto a citare) dalle scelte di forma di Sorrentino”

    A mio avviso non è così. Nel momento in cui un film (qualsiasi film, anche questo) si dispiega davanti ai nostri occhi, lo stile inteso come trattamento complessivo della materia supera la dicotomia forma/contenuto. Non bisogna farsi trarre in inganno dal fatto che il film parla di eventi reali: la dimensione referenziale non pertiene al lavoro del film. Quello che davvero conta è il modo in cui il film organizza la propria enunciazione (il linguaggio audiovisivo adoperato per farsi film). Insomma, quello che tu chiami contenuto per me è parte inscindibile dello stile (il modo in cui il film è proprio quel film e non un altro). Mi scuso per la’rgomentazione criptica e oscura, ma schivare metodologicamente l’opposizione forma/contenuto (così radicata e profondamente vincolante) è tutt’altro che facile.

    Felice che la discussione possa continuare in piena serenità reciproca, ti saluto e mi riprometto di commentare anche la rece di Para.

    Sauti

    Ale

    PS- Prima o poi ci dovremo incontrare per bere qualcosa assieme^^

    Rispondi
  18. Faccio alcune considerazioni generali sul tuo discorso, con alcune stupide domande ^^.

    Citando le due scene (quella che ti è quasi piaciuta e il montaggio delle attrazioni), hai collegato il concetto di lasciare spazio all’ipotesi, alle supposizioni… presente nella prima, non nella seconda.
    Però Sorrentino non voleva lasciare spazio a supposizioni nella seconda, voleva creare un collegamento contenutistico (al di là del riuscito o meno) molto diretto (come avveniva nei film storici che proponevano questa scelta registica).
    Perchè avremmo dovuto vivere un dubbio?

    Altra cosa… mi sembra di capire che uno dei difetti che dai al film è quello di fare “acrobazie visive” senza che vi sia un senso che le colleghi con la “”””storia/situazione””””” (80 virgolette ^^) che viene mostrata (dimmi se sbaglio, perchè non l’hai mai scritto letteralmente… è più che altro un’impressione).
    Se pensi questo, sottolineo che io non sono affatto d’accordo su questo concetto.
    Perchè la ridondanza visiva e sonora che attribuisci al film, per me è pari (concettualmente) ai movimenti di macchina di Tarkovskij sui corsi d’acqua… o all’immobilità dei personaggi di Sergio Leone, prima dei duelli, mentre la musica di Morricone tocca le sue vette più alte.
    Momenti altissimi di Cinema, senza che il movimento della mdp abbia un senso di collegamento con… quanto ho detto sopra.
    Ripeto, però, qui è solo una mia impressione…

    Ho capito il tuo discorso sullo stile e sono d’accordo.
    Però allora, ti chiedo… (domanda stupida, preparati ^^) per avere uno (chiamiamolo) “stile corretto”; trattando un tema simile con quella sceneggiatura, come doveva essere secondo te la regia di Sorrentino?
    Loach? Garrone?
    No, perchè come dice il sottotitolo del film “Il divo” è la spettacolare storia di Andreotti… e Sorrentino ha fatto un film spettacolare, dove suono e immagine dialogano in uno splendido concerto audiovisivo, naturalmente a mio gusto.

    La discussione è serenissima, però mi inquieta il fatto che debba difendere un film che io considero ai vertici del nuovo millennio.
    Pensavo, onestamente, che non ce ne fosse bisogno.

    Andiamo a bere insieme quando vuoi… ma non parliamo di Sorrentino va ^^

    Chimy

    Rispondi
  19. “Però Sorrentino non voleva lasciare spazio a supposizioni nella seconda, voleva creare un collegamento contenutistico (al di là del riuscito o meno) molto diretto (come avveniva nei film storici che proponevano questa scelta registica). Perchè avremmo dovuto vivere un dubbio?”

    1. “Però Sorrentino non voleva…”

    Secondo me occorre distinguere l’intenzione dell’autore dall’intenzione del film. Con la prima si va a finire nello psicologismo o tutt’al più nella psicologia dell’autore, terreni troppo friabili e imperscrutabili per il sottoscritto, sicché evito a priori di pensare cosa abbia voluto dire il regista, mi limito a interrogarmi su cosa voglia dire il film (e – fare attenzione! – sono due cose ben diverse: molte volte nel “farsi film” le intenzioni del regista vengono deviate, deformate o letteralmente stravolte e non solo per ragioni produttive, ma perché il testo filmico è un organismo a sé stante che sviluppa sensi ulteriori e in qualche modo incontrollabili rispetto alla mera volontà).

    1.1 “…lasciare spazio a supposizioni nella seconda, voleva creare un collegamento contenutistico (al di là del riuscito o meno) molto diretto (come avveniva nei film storici che proponevano questa scelta registica). Perchè avremmo dovuto vivere un dubbio?”

    Cambiando il soggetto della frase (non più “Sorrentino”, ma “il film”), trovo tu abbia perfettamente ragione. E difatti non ho mai detto che il film intendesse suggerire ipotesi, ma l’esatto contrario, ovvero che non cerca di produrre alcun senso ambiguo. Non ho detto che fa male a fare così, ho solo detto che una soluzione del genere a me non piace. Di gusti si tratta.

    “Altra cosa… mi sembra di capire che uno dei difetti che dai al film è quello di fare “acrobazie visive” senza che vi sia un senso che le colleghi con la “”””storia/situazione””””” (80 virgolette ^^) che viene mostrata (dimmi se sbaglio, perchè non l’hai mai scritto letteralmente… è più che altro un’impressione).
    Se pensi questo, sottolineo che io non sono affatto d’accordo su questo concetto.”

    2. “mi sembra di capire che uno dei difetti che dai al film è quello di fare “acrobazie visive” senza che vi sia un senso che le colleghi con la “”””storia/situazione””””” ”

    No: impostata come la metti tu la questione mi sembra riproporre la dicotomia forma/contenuto, interpretata come “funzionalità”.
    Sono cose che non mi interessano. Le acrobazie visive de “Il divo” non mi interessano non tanto perché non si adattano alla storia messa in scena, ma perché generate da un’impostazione stilistica (ma sarebbe forse più corretto dire “enunciazionale”) piantata sul registro del grottesco ad una sola dimensione. La deformazione e l’enfasi continua a mio avviso inchiodano il film alla dimensione unica della caricatura. Ripeto, la scelta non è condannabile in sé, ma ritengo legittimo esprimere il mio disinteresse per forme linguistiche tanto tamarre^^.

    Oddio, non è che li conosca alla perfezione, ma secondo me Leone e, soprattutto, Tarkovskij sono un po’ meno beceri. Ma, ripeto, non è che conosca perfettamente il loro cinema (neanche quello di Leone, confesso).

    “Ho capito il tuo discorso sullo stile e sono d’accordo.
    Però allora, ti chiedo… (domanda stupida, preparati ^^) per avere uno (chiamiamolo) “stile corretto”; trattando un tema simile con quella sceneggiatura, come doveva essere secondo te la regia di Sorrentino?
    Loach? Garrone?”

    3. Non è una domanda stupida, tutt’altro. Solo che io ho smesso da molto tempo di farmi domande su come avrei voluto fosse messo in scena un film. Cioè, credo sia una prassi tanto diffusa quanto surreale : abbiamo un film davanti ai nostri occhi, confrontiamoci con quello, anziché pensare al film che noi avremmo voluto vedere. Rispettare il teso secondo me è anche questo: rivolgersi a lui nella sua singolarità e unicità, ovvero nel suo stile.

    Ma di una cosa sono certo (e che qui il mio pensiero doppi l’ovvietà non mi spaventa affatto): è troppo importante che ognuno abbia il proprio gusto e lo custodisca gelosamente difendendolo in tutti i modi. Solo così ci sono chance di educarlo. E questo vale tanto per me quanto per te e per chiunque stia leggendo in questo momento^^.

    Un abbraccio

    Ale

    PS- Scappo, vado a vedere “Maradona” di Kusturica!

    Rispondi
  20. Brividi in ogni dove!!! Senza offendere nessuno, posso asserire che a mio avviso questa è la migliore recensione del film che ho letto!!! Complimenti vivissimi, lo so che sembra ripetitivo e stucchevole, ma è quello che penso!!! Il paragone con Anderson poi mi sembra proprio calzante!!! Che dire di tutto il resto? Niente va, sottoscrivo lettera per lettera!!!

    Rispondi
  21. @alespiet: hai perfettamente ragione sull’importanza del gusto, lascio spazio alle tue obiezioni al Para… che qua se no è infinita ^^.

    Un abbraccio e grazie per la discussione

    @ale55andra: non potevi farci complimento più bello. Soprattutto con le recensioni-capolavoro che ci sono in giro di Pickpocket e Honeyboy… in attesa di leggerne poi altre (tra cui la tua e quella di Luciano).
    Grazie davvero di cuore, davvero gentilissima ^^

    Un salutone

    Chimy

    Rispondi
  22. Si, i miei prediletti Stefano e Dome hanno fatto due recensioni mastodontiche, ma stavolta secondo me li avete superati!!! Se continuiamo così, qua è meglio che molti (me compresa) chiudiamo baracca e burattini e ci affidiamo solo a voi! ^^

    Rispondi
  23. @alessandra: grazie cara! Ma qua se chiudete voi noi che ci stiamo a fare? Il cineblogging è un piacere collettivo, siamo una grande comune. Sarebbe ora di fare il cine raduno nazionale, io propongo di farlo al mio paesello, siete d’accordo? 🙂
    Saluti.
    Para

    Rispondi
  24. SPLINDER!

    Rispondi
  25. Una doppia analisi con i fiocchi. Ancora non lo vedo, cavolo, Sorrentino diventa sempre più bravo.

    Rispondi
  26. RAGAZZI!!! Ma questa non è una recensione, è una mirabile e perfetta SUMMA SORRENTINIANA!!! Straordinario, pazzesco, MOSTRUOSO post! :))

    Non voglio (e pure volendo non potrei!) aggiungere una sola parola. Soltanto una cosa: trovate il modo di far leggere questo post a Sorrentino, poche storie!!! Parlo sul serio, eh! Mi raccomando. 🙂

    Un abbraccio grande e scusate per il vergognoso ritardo con cui arrivo a commentarvi. Purtroppo tra i ben noti capricci di splinder di questi giorni, le mie congenite diffficoltà internettare baresi e l’oggettiva IMPORTANZA di questo post (che meritava una lettura sommamente attenta ed accurata) sono arrivato un po’ tardi. Ma ci sono, eccome se ci sono. E ci sarò sempre. Potete contarci 🙂 Un salutone
    P.S. @Chimy: Quel riferimento alla “dilatazione temporale” dello zio Sam da queste parti lo si è apprezzato PARECCHIO :))

    @Alespiet: Solo una piccola (ma direi fondamentale) obiezione “di metodo” a quello che dici.

    Non dovremmo quindi fermarci mai a considerare cosa davvero il regista abbia voluto dire attraverso la sua opera/sequenza/fotogramma? dovremmo soltanto limitarci ad una fruizione meramente soggettivistica e solipsista del film “per noi e basta”? Spero di aver frainteso…

    Io ritengo invece che proprio il tentativo di comprensione della personalità/individualità di un regista (a maggior ragione di un grande regista, e Sorrentino è un grande regista) attraverso la sua opera di celluloide sia uno straordinario e bellissimo “esercizio di ricerca”. Che tra l’altro getta nuova luce sul film e apre nuovi percorsi interpretativi nell’opera stessa. Mi sembrava una questione non di poco conto che meritava una puntualizzazione. Saluti

    Rispondi
  27. @Alespiet: Splinder si è mangiato il passo del tuo commeto che citavo.. Era questo.

    “Secondo me occorre distinguere l’intenzione dell’autore dall’intenzione del film. Con la prima si va a finire nello psicologismo o tutt’al più nella psicologia dell’autore, terreni troppo friabili e imperscrutabili per il sottoscritto, sicché evito a priori di pensare cosa abbia voluto dire il regista, mi limito a interrogarmi su cosa voglia dire il film.”

    Ciao!

    Rispondi
  28. @leonard: grazie mille. Cerca davvero in tutti i modi di recuperarlo.

    @pick: grazie davvero di cuore, sei troppo gentile, ci fai arrossire ^^.
    Nessun ritardo, non devi neanche scusarti… ci mancherebbe altro.
    Contentissimo che hai apprezzato il riferimento allo Zio Sam ^^
    Grazie ancora di cuore 🙂

    Un salutone

    Chimy

    Rispondi
  29. Non mi capitava da tempo di vedere un film di tale portata. Di solito non faccio pronostici ma ho la sensazione che Il Divo sarà un cult. L’aspetto che mi ha impressionato è la forza dirompente degli “acusmetri” (aspetto mirabilmente espresso nella vostra recensione) ossia quei personaggi “sonori” ambiguamente collocati nello schermo (ma in questo caso, come avete sottolineato, bisogna leggersi Chion). Ebbene il personaggio “Andreotti” è un acusmetro collocato dentro e fuori lo schermo (interprete, presentatore, ma anche mandante occulto legato da sempre al mio (nostro?) immaginario; ossia Andreotti è anche l’idea proiettata nella caverna, ciò di cui possiamo disporre); ma è pure (rientrando nell’immagine) aspetto esteriore dell’ “invisto” (anticipo la mia idea, che svilupperò nella recensione citando Derrida), in quanto la visione “impone anche un trasporto verso gli altri sensi”. Dovrò vedere (appena uscirà in DVD) molte altre volte il film. Per me questo film (chiedo scusa per l’entusiasmo che magari potrebbe anche essere mal riposto) è di una portata inimmaginabile nel senso che da questo potrebbe nascere una scuola (un modo nuovo di fare cinema ossia lavorando sull’ambiguità dell’immagine e sugli aspetti che rendono materiale un’idea astratta: ipotiposi).

    Rispondi
  30. @pickpocket83: posto che io sono notoriamente un minus habens e quello che dico non dovrebbe essere mai preso sul serio, ho semplicemente cercato di riformulare con parole mie la distizione tra “intentio auctoris” e “intentio operis” che per la critica letteraria è il punto di partenza per evitare l’impressionismo e lo psicologismo. Tutto il contrario di quello che hai capito tu, quindi (ma il responsabile sono senz’altro io, visto che mi esprimo come un cavernicolo).

    L’intenzione del film va disgiunta da quella dell’autore poiché il film in quanto testo sviluppa sensi irriducibili alla mera intenzione soggettiva. Essendo lavoro collettivo e nutrendosi di complesse logiche di implicazione, il testo filmico può anche rivelare, caso limite, sensi contrari o eccentrici rispetto alla volontà dell’autore. Non ho esempi sotto mano da fare, ma qualcuno meno pigro e limitato di me li troverebbe in grande quantità.

    Sulla base di un’analisi incentrata sull’intentio operis è poi lecito, a mio questionabile avviso, formulare un giudizio di gusto. E sono contento che il mio non sia quello di nessun altro, tengo a precisarlo.

    Poi, ripeto, non prestar bada a quello che dico, infilo tante di quelle cazzate e spropositi che c’è da piangere in continuazione. Hai senz’altro ragione tu, la mia prospettiva è solipsistica e chiusa ai limiti dell’autismo. Ma che ci vuoi fare? A me piace proprio tanto^^

    Saluti

    Ale

    Rispondi
  31. Ho trovato ‘sta roba googleando e mi sembra abbstanza chiara. Ecco a cosa mi riferivo.

    “1. Le tre “intenzioni” del testo

    * Semiotica generativa e interpretativa rivendicano entrambe l’autonomia e l’immanenza del testo, indipendentemente dalle intenzioni del suo autore e dagli effetti che può produrre sul lettore.
    * Eco (I limiti dell’interpretazione, 1990) riprende una tricotomia che riguarda il problema dell’interpretazione:

    1. Intentio auctoris

    2. Intentio lectoris

    3. Intentio operis

    Spesso il testo non corrisponde alle intenzioni di chi l’ha prodotto (intentio auctoris): per una corretta interpretazione del testo non dobbiamo basarci su dichiarazioni/propositi o biografia dell’autore empirico.

    Spesso il lettore vi proietta qualcosa che non esiste, basandosi sui desideri, pulsioni e arbitrii del tutto personali (intentio lectoris).

    È il testo stesso che deve essere interrogato, in riferimento alla sua coerenza contestuale e ai sistemi di significazione a cui si rifà (intentio operis: le “ragioni del testo”)

    * Bisogna rimanere dentro il testo, analizzare ciò che un’opera esprime di per sé, indipendentemente dalle intenzioni di chi la produce o di chi la legge.
    * Fra la dinamica astratta di generazione di un testo (per cui il linguaggio si coordina in testi in base a leggi proprie e crea senso indipendentemente dalla volontà di chi enuncia) e la sua possibilità di suscitare infinite o indefinite interpretazioni, il testo stesso si pone come “oggetto e parametro delle sue interpretazioni” (Eco, 1990: 11)
    * Ma le intenzioni sono inscritte come tracce all’interno del testo e configurano i processi di cooperazione tra l’autore e il destinatario (cooperazione interpretativa).”

    Rispondi
  32. @Para: in linea di massima valgono le pallosissime osservazioni sul gusto che ho fatto a Chimy, ma devo dire che alcuni passaggi della tua rece mi costringono a ripensare al film più di quanto fossi disposto a fare.

    1. L’analisi del rovesciamento dei punti di vista nelle sedute d’inchiesta parlamentare è tremendamente affascinante oltre che ineccepibile. Ecco un caso di complicazione semantica che a me era in qualche modo sfuggito e che conferisce obliquità al film.

    2. nel paragrafo “Scrittura” osservi acutamente che “l’incontro con Riina (l’attore è un sosia), non è girato dal punto di vista di Andreotti, ma da quello del’autista del boss, che sta confessando agli inquirenti”.

    Anche questa sfumatura, benché l’avessi notata, non l’avevo sviluppata compiutamente come fai tu. E anche questa diffrazione ottica (che comporta una innegabile ricaduta sul piano epistemico) apporta un coefficiente di complessità al discorso.
    La tua conclusione del paragrafo è di quelle che mi piace: “Il risultato è muovere dubbi, e non dare risposte. E’ prima mostrare, poi dimostrare, poi mostrare che la dimostrazione non era sicuramente certa”.

    Anche l’accostamento a PTA è decisamente stuzzicante (chiedo scusa per il bruttissimo aggettivo): per quanto tra i film dei due registi per me c’è un incolmabile abisso qualitativo, la comparazione mi sembra ben imbastita e più che difendibile.

    In definitiva, malgrado rimanga sulle mie posizioni di sostanziale disinteresse nei confronti de “Il Divo” (“che ho trovato infinitamente meno irritante de “L’amico di famiglia”), la tua rece mi ha spinto a rivedere parzialmente la radicalità del mio giudizio. Per questo ti ringrazio.

    Ale

    Rispondi
  33. @umberto eco:
    “A noi civili che abbiamo la viscerale certezza che la scrittura sia un atto di comunicazione fra un essere umano e un altro, l’intera questione appare piuttosto arcana.
    Come osserva William Gass in “Habitations of the world”, i critici possono cercare di eliminare o iper-definire l’autore fino all’anonimia, per ogni genere di ragioni, tecniche, politiche o filosofiche, e “quest’anonimia” può voler dire molte cose, ma di certo non che quel testo non l’ha scritto nessuno” D. F. Wallace
    non ho voglia di entrare nella discussione comunque, perché sono pigro e perché non saprei cosa dire… e soprattutto perché, sinceramente, la questione non mi interessa così tanto
    per me non tener conto delle intenzioni dell’autore è come non tener conto delle intenzioni di chi ti porge un regalo….

    Rispondi
  34. @Honey: non rispondo per Eco per ovvi e patetici (per il sottoscritto) motivi.

    A mia discolpa posso dire soltanto di aver premesso che dico solo e soltanto un mare di cazzate. Il mio ex professore aveva intenzione di sopprimermi e prima o poi qualcuno ce la farà a togliermi di mezzo (il tempo se non altro).

    Chiedo ancora scusa per l’idiozia, la dabbenaggine e l’irriconoscenza delle mie parole. Ma sono un ingenuo e l’ingenuità, come è noto, andrebbe rispettata 😉

    Davvero, scusami, non lapidarmi, sono vulnerabile come qualunue altro essere umano.

    Saluti

    Ale

    Rispondi
  35. @alespiet: Ma no! Io mi aspettavo incredibili ed interminabili discussioni! 🙂 Guarda, sono davvero felice, è un onore esser riuscito a smuovere, anche solo di poco, la radicalità della tua posizione.
    A questo punto riguardalo e rivalutalo! 🙂 Ovviamente sto scherzando, so che non potresti farlo ed è giusto così. Beatles Vs Rolling Stones. 🙂
    Per quanto riguarda P.T.A. è un azzardo, semplicemente li vedo i rappresentanti di un certo cinema. Poi, e sono casualità, hanno qualche punto in comune. Comunque da lì a confrontarli seriamente e metodicamente ce ne passa, anche perchè sarebbe impossibile.
    Grazie a te, Ale, discutere pacificamente è sempre bellissimo. E la discussione continua, almeno per te, a vedere dai commenti. 🙂 C’è una cosa da dire, ed è positivissima, le tue osservazioni non lasciano indifferenti. 🙂 Ci si sente in dovere di rispondere e rispondere, e questo è solo un grande pregio.
    Saluti.
    Para

    Rispondi
  36. @luciano: splendide riflessioni. Attendo la tua recensione, come attenderei un film di Burton ^^.

    “Per me questo film (chiedo scusa per l’entusiasmo che magari potrebbe anche essere mal riposto) è di una portata inimmaginabile nel senso che da questo potrebbe nascere una scuola (un modo nuovo di fare cinema ossia lavorando sull’ambiguità dell’immagine e sugli aspetti che rendono materiale un’idea astratta: ipotiposi).”

    Concordo pienamente (il tuo entusiasmo è anche il nostro ^^). Anche per me è un film memorabile che verrà a lungo ricordato e studiato.
    Una volta uscito il dvd lo rivedremo tutti molte volte e magari ci potrebbe scappare anche di farci un lavoro sopra insieme.

    Se ne riparlerà 😉

    Un caro saluto

    Chimy

    Rispondi
  37. @alespiet: (e va bene, nascondo le pietre ^^)
    non usare l’arma del pianto dai…
    se c’è qualcuno che dice un mare di cazzate quello sono io, infatti come vedi lascio sempre commenti piuttosto brevi, in modo da contenerne il numero

    Rispondi
  38. anonimo

     /  4 giugno 2008

    Devo ammettere che dopo aver visto il film avrei avuto molte cose da dire, sia positive che negative; ma dopo aver riletto le recensioni ed aver scorso i vari commenti… ne ho molte di più!!!
    Per ora vorrei soffermarmi più che altro sulla mia visione del film e sulle due recensioni, anche per evitare di litigare con troppe persone tutte assieme… ^^
    Innanzitutto devo appacificare gli animi, dichiarando che il film, oltre ad essermi piaciuto, mi ha anche piacevolmente sorpreso, sia dal punto di vista formale che contnutistico (non mi addentro nella questione, mi limito a dire che l’una cosa si lega indissolubilmente all’altra). Non c’è che da fare un plauso a Sorrentino per l’indicscutibile abilità con cui dimostra di avere una familiarità più che evoluta e più che colta con il mezzo cinematografico e non solo, date le evidenti difficoltà che un film del genere sicramente porta in fase di scrittura, difficoltà agevolmente superate ed incanalate verso un risultato finale di indubbia eccellenza. Detto ciò, devo però anche ammettere che la grande maestria acquisita del mezzo e del linguaggio cinematografico sono state forse un po’ sfruttate in maniera eccessiva da Sorrentino, il quale sicuramente merita elogi per la bravura con cui riesce a citare e a far propri temi del linguaggio filmico di Leone, Godard, Ejzenstein e (a mio avviso) anche Tarantino, ma in qualche passaggio sembra perdersi nelle spire del citazionismo, per cui non mi ha mai dato l’idea di creare un linguaggio proprio e personale, andando a “nascondersi” (scusate l’abominio, ma sto studiando nel farttempo, e i pochi neuroni residui non riescono a scovare un termine migliore..) dietro all’egida dei grandi del passato. Non che questo vada a sminuire la raffinatezza formale del filmo la bellezza delle riprese (vorrei citare il direttore della fotografia, Luca Bigazzi, che secondo me ha svolto un lavoro eccellente, soprattutto sui controluce. Sono arrivati degli strani personaggi a disturbare, continuerò, dato che ho perso il filo.

    Leegolas

    Rispondi
  39. @Alespiet: Qui non ci sono nè “minus habens” nè “plus habens”, chiriamolo subito subito. E una discussione di questo livello lo dimostra alla grande.

    Detto questo: ci siamo chiariti, direi. Fraintendevo (ma fino a un certo punto^^). Mi sembra che delle 3 intentio che citi, tu attribuisca una importanza molto molto più spiccata (per non dire esclusiva) alla terza, elidendo del tutto la prima e parzialmente la seconda. E’ un modo di approcciarsi (ci mancherebbe) legittimo, ma che non mi sento minimamente di condividere. E’ come se ti concentrassi solo su quello che c’è “nel mezzo”, escludendo “da dove il messaggio è partito” e “come questo messaggio viene percepito”. Il circuito non credo si “chiuda” come si deve… Hai capito come la penso. Chiudiamola qui, va. Ci siamo spiegati abbondantemente, credo.

    Ciao!

    Rispondi
  40. @legolas: secondo me non si perde nelle spire del citazionismo, perchè riesce cmq a tenere sembre il film sulle proprie briglie (meglio idee ^^) cinematografiche, regalandoci anche dei momenti magnifici nati puramente dalla sua immaginazione.
    Sul resto della tua bella riflessione, concordo pienamente… fotografia meravigliosa, certamente.
    Salutami gli strani personaggi, sia che li conosca sia che non li conosca ^^
    Poi continua il discorso quando vuoi….

    Ciao carissimo

    Chimy

    Rispondi
  41. @honey: perché mai non dovrei usare l’arma del pianto? le sassate fanno male (e la tua citazione wallaciana era una bella pietrata). non capisco questa pregiudiziale nei confronti della debolezza ostentata, ma non è una novità che non capisca qualcosa, al contrario direi che è piuttosto la regola^^

    Il fatto è che, come dire?, spesso inciampo in recensioni (e ci tengo a dire che questo non è mai accaduto su questo blog né sul tuo) che trascurano allegramente il testo per parlare di tutt’altro (il più delle volte del film che il recensore avrebbe voluto vedere al posto di qullo che c’è), sicché un richiamo al testo, l’unica realtà con cui noi spettatori abbiamo effettivamente e concretamente a che fare, mi sembrava legittimo.

    Tutto qui. Io smetto il piagnisteo, ma tu smettila di commentare col contagocce e lascia esondare il mar delle cazzate che è una gran bella liberazione, credimi^^

    Rispondi
  42. @pickpocket83: messa in questi termini è ok per me. In effetti tendo a ignorare il più possibile l’intentio auctoris e a mettere la sordina all’intentio “spectatoris”, cercando di salvaguardare l’integrità semantica del testo (l’opus). In questo senso sì, ammetto che sono profondamente e convintamente “opocentrico”.

    Finamente vedo riconosciuta la legittimità della mia posizione ed è questa la sola cosa che mi premeva, dal momento che io sono pronto a riconoscere la liceità di tutte le altre (nessuna delle quali è esente da limiti e punti deboli, beninteso). Una sola cosa: l’assimilazione del film al “messaggio”, pur essendo inoppugnabile dal punto di vista teorico, a me non piace neanche un po’. Non so, la trovo terribilmente frusta e dozzinale (anche stavolta è solo questione di gusti). Ma al di là della idiosincrasia lessicale sono pronto ad accettare le tue riserve sul mio approccio (ritenendole irrilevanti perché scartate a bella posta, beninteso).

    Adesso sì che ci siamo spiegati: occorre dare diritto di cittadinanza alle posizioni altrui per comprendersi davvero.

    Saluti

    Rispondi
  43. anonimo

     /  4 giugno 2008

    Riprendo il discorso ora che mi sono liberato da libri e presenze ingombranti…
    Dunque, già che ci sono, rispondo a Chimy, e ti dico subito che sono assolutamente d’accordo con te, il film non esce mai dai binari su cui Sorrentino l’ha voluto incastrare, e questo di aver espresso questo lodando la scrittura ssolutamente vicina alla perfezione del film; quello che intendo dire è che nell’osare visivamente, mi sarebbe piaciuto vedere qualcosa di assolutamente eprsonale, un tratto distintivo riconducibile solo a Sorrentino e a nessun altro. Comunque di questo nessuno gli fa una colpa, è evidente che Sorrentino è un regista ancora in maturazione, nonostante i livelli di eccellenza ottenuti con questo film, e ciò che spero è che un giorno si possa commentare un film parlando di un passaggio “sorrentiniano”, visto che secondo me un regista con queste capacità merita riconoscimenti simili.
    Per tutto il resto non posso che essere d’accordo con quanto già detto.
    Ritornando invece sulla distinzione, per quanto fittizia e capziosa possa risultare, tra contenuto e forma, che emerge dai commenti di molti: credo che uno dei maggiori punti di forza del film sia proprio la grande capacità che Sorrentino dimostra nell’utilizzo di una forma filmica molto particolare, quasi dissonante rispetto a quello che è il contenuto della pellicola, nella perfetta giustapposizione (armonia in termini chioniani se si vuole…^^) di universi apparentemente discordanti con cui il regista riesce a creare un’opera particolare ed attraente, e a tratti anche molto originale.
    Piccolo inciso per concludere: so che Chimy mi odierà dal profondo, ma la sequenza dello skateboard non mi ha fatto impazzire, per quanto concordi sull’analisi che ne hai fatto. Mi pare che lo skateboard sia qualcosa di troppo lontano dal mondo di valori espresso fino ad allora ed in generale dal film, avrei preferito qualcosas di più attinente rispetto alla tavola… ma è un’opinione personalissima.
    Per tornare a Chion, invece, dato che non si crede nel caso, ma nella volontà divina, preghiamo tutti affinchè un altro libro non lo scriva MAI!!!!
    Saluti a tutti

    Legolas

    Rispondi
  44. @Alespiet: Ok! L’importante è capirsi! Ovvio che ogni posizione abbia diritto di cittadinanza, siamo in uno stato democratico a quanto pare! Io, ribadisco, dal mio personale pdv ho capito il tuo modo di vedere, ma (francamente) continuo a trovarlo parecchio parecchio limitante. E anche molto poco “divertente” se me lo concedi… decisamente troppo “laboristico” come assunto di partenza, per i miei gusti. E in definitiva credo che una divisione e poi persino una scelta così netta tra le varie “intentio” sia del tutto inadatta per provare a relazionarsi con un territorio fluido, sfuggente, contaminato, problematico e aperto come quello artistico. Posizione la tua quindi legittima ma che, citandoti, potrei benissimo anch’io ritenere “irrilevante e scartare a bella posta”.

    Ciao!

    Rispondi
  45. @pickpocket83: più che limitante il mio punto di vista è limitato. ma preferisco di gran lunga circoscriverlo che renderlo indifferenziato in nome di un malinteso (almeno ai miei occhi) senso della disinvoltura interpretativa. Che tu lo trovi limitante, poco divertente e performativo posso capirlo. Tu, appunto. Io, che credo ottusamente esistano delle “riduzioni liberatorie”, lo trovo calzante, entusiasmante e di una libertà inaudita. Angolazioni.
    Sul fatto che tu ritenga del tutto inadatta la distinzione netta tra le varie “intentiones”, sono totalmente d’accordo con te e infatti ti esorto a non adottarla mai e poi mai.
    E, infine, perché mai non dovresti ritenere “irrilevante e scartare a bella posta” la mia posizione? La libertà di scelta sta anche nello scartare. E tra l’altro tu mi stai dicendo di averla già scartata (e di conseguenza di ritenerla trascurabile o peggio detestabile), sicché non capisco l’uso del condizionale. Ma del resto non capire per me non è certo una novità.

    Forse mi sbaglio (anzi, mi sbaglio di sicuro), ma percepisco un’animosità nelle tue parole che a mio avviso è un tantino immotivata. Ti dà tanto fastidio che io parli apertamente di questioni di metodo che non voglio affatto propagandare ma che ritengo importanti per costruire uno sguardo non impressionistico? Cioè, credo che il gusto debba essere lasciato il più libero possibile, ma che si dispieghi su basi solide e le sole basi su cui può fare affidamento sono quelle dell’opera (o, più correttamente, il testo). Ma, ripeto, questo è un discorso che vale per me, sono riflessioni speculative che ho fatto nel corso degli anni e che servono a chiarire anche a me stesso delle preferenze di gusto. Ci sta anche che siano del tutto illusorie (una sorta di effetto placebo estetico), sicché non vedo perché animarsi tanto. Fino a prova contraria, cioè finché non troverò posizioni più persuasive e complesse, mi tengo queste e ne parlo, durante le discussioni, per esprimere il mio punto di vista. Che, ripeto, non intendo imporre a chicchessia. Che poi faccia notare come dei concetti e delle opinioni inveterate per me non abbiano molto senso, ebbene questo non significa che per altri siano assolutamente cruciali.
    Insomma, bandiera bianca ^^

    Rispondi
  46. @Alespiet: Nessuna animosità, te lo assicuro. Soltanto la voglia di chiarire il più possibile le nostre posizioni: e direi che lo abbiamo fatto nel modo migliore. E’ un argomento che mi appassiona e mi interessa non poco, e credo che lo stesso valga per te. Tutto qui.

    Bandiera bianca ^^ Rigorosamente bianca, per carità. Così non corriamo il rischio di accapigliarci di nuovo “sul metodo” giusto per decifrarne il testo. :))

    Saluti

    Rispondi
  47. @legolas: direi che concordo pienamente con tutte le tue idee (ora ho capito meglio il concetto del “passaggio sorrentiniano”).
    Sullo Skateboard io ho trovato geniale il collegamento con la tavola nel piccolo tunnel dell’inizio che porta all’esplosione di Falcone… e poi vedere quello skateboard, di cui inizialmente ti chiedi che senso abbia di esserci, volare in cielo mentre la macchina di Falcone fa il percorso contrario l’ho trovato geniale sia a livello formale, che contenutistico (mandanti-esecutori)… però anche il mio è un parere personalissimo.
    Ci ho trovato una certa armonia (ahhaha, questa l’ho detta apposta anche se non c’entra niente ^^).
    Su Chion, io credo invece che non si fermerà tanto facilmente ^^… anche perchè uno dei suoi ultimi libri, su “2001:odissea nello spazio” era splendido (consiglio assolutamente), e in futuro mi aspetto almeno altri due libri… uno con il quale rinnova ancora il sonoro nel cinema (perchè il doppio tricerchio per i suoni nei film non ci basta ^^ he he…) e un altro su “INLAND EMPIRE”, che sarebbe straordinario (anche il libro su Lynch suo.. consiglio).

    Un salutone, a presto

    Chimy

    Rispondi
  48. @pickpocket83: la cosa mi rincuora non poco. grazie del fertile, appassionante e inequivocabilmente candido confronto 😉

    un saluto disambiguato

    Rispondi
  49. io attendo la rassegna cannese così vedendolo insieme a mille altri film magari si colgono anche “differenze” con il classico cinema festivaliero…

    Rispondi
  50. Spero di riuscire a vedere qualcosa anch’io alla rassegna. Ho sentito che c’è il film dei Dardenne… gnam gnam ^^

    Un saluto

    Chimy

    Rispondi
  51. anonimo

     /  5 giugno 2008

    Lasciamo perdere il tricerchio potenziato!!! L’ho sognato per svariate notti e ancora non riesco a capire il senso di una tale complicazione di un concetto che andava benissimo e resisteva da generazioni!!!!
    Al di là della zozzeria del suono “on the air” (credo uno dei passaggi più brutti del libro insieme alla distinzione tra musica da buca e musica da schermo…), avrei una domanda da porre al buon Michel: ma se durante il primo piano di una persona, questa persona la sentiamo parlare, la voce docciamo considerarla acusmatica in quanto il suono si riverbera dalle corde vocali?!…
    Ai posteri l’ardua sentenza, in attesa che Chion sviluppi un eptaedro concentrico e convesso per definire le varianti del suono su schermo….
    Comunque viva Sorrentino! Anche se lo skate continua a non piacermi…
    (Comunque i consigli di lettura vedrò di recuperarli, anche se attualmente vorrei leggere il libro di Youngblood “cinema espanso”, per avere opinioni differenti sull’audiovisione da quelle del buon francese)
    Saluti a tutti!!!

    Legolas

    Rispondi
  52. Ragà MI INCHINO! di fronte a voi due geniacci (e mi scuserà il conte, ma io le vostre rece analitiche le amo proprio, ma proprio troppo!)..
    e mi inchino di fronte a Sorrentino che a fatto qualcosa che non sembrava neanche italiano mentre lo guardavo e che mi ha emozionato e commosso per profondità e bellezza.
    ciaoooo

    Rispondi
  53. @legolas: ahahahahha… vabbè alla fine i nomi dei termini sono convenzioni ^^. Purtroppo, volenti o nolenti, sono ormai entrati a far parte del gergo di analisi cinematografica… meglio saperli x capire di cosa si parla cmq.
    Quello di Youngblood non l’ho letto, ma ne so qualcosina… penso però che si riferisca prevalentementa ai multischermi della videoarte (per quello cinema espanso), più che al sonoro… cmq mi dirai.
    Io intanto attendo l’eptaedro concentrico e convesso ^^

    @trinity: grazie cara, troppo gentile ^^. Ci inchiniamo tutti a Sorrentino.

    Saluti

    Chimy

    Rispondi
  54. anonimo

     /  6 giugno 2008

    caro Andrea,

    non c’è che dire sull’analisi a dir poco chirurgica che hai fatto sul film. Tuttavia su una cosa credo di dover dissentire. Parlando dello skateborad hai detto che il significato del suo viaggio da montecitorio al tunnel lo si puo’ vedere come viaggio “mandanti-esecutori” Ebbene…non credo sia cosi’ e il motivo è storico. La causa della strage di Falcone risiede nel fatto che la mafia voleva punire Andreotti e tutta la sua cricca per non essere riusciti ad affossare le sentenze di condanna ai boss durante il maxiprocesso ed infatti con l’omicidio Lima parte quella che fu derfinita la resa dei conti mafiosa contro quella DC che come diceva il pentito Buscetta”per anni aveva sfruttato la mafia per i voti e in quel momento non riusciva piu’ a proteggerla dagli attacchi giudiziari”. Andreotti proprio quei giorni, come si vede bene nel film, era candidato alla presidenza della repubblica ma fu proprio l’attentato a Falcone a impedire che cio’ avvenne e ad aprire la strada a Scalfaro. Quello skateboard, secondo me, passa inaspettato in mezzo ai corridoi del potere tra gli occhi stupiti, o quasi, della politica simboleggando un punto di non ritorno della stessa. Infatti secondo molti storici la fine della prima Repubblica inizia proprio dalla strage di capaci piu’ che da Milano aprendo verso una strada “nuova?” la storia italiana.
    MARCO CRUCCU

    Rispondi
  55. @legolas: non te ne va mai bene una. Cosa vuoi capirne te di Chion che fai lo IULM? A parte gli scherzi il libro di Chion è importante, bello o brutto è importante. Avrà anche coniato mille termini assurdi ma ormai son quelli.
    Youngblood (secondo la mia ignoranza) è un videoartista. Quuindi non venire a tirare fuori la video arte. Grazie. 🙂

    @trinity: grazie Trinity, troppo gentile. Sparisci per un po’ e torni a far complimenti! Grazie! 🙂

    @cruccu: il punto è che nel film lo skateboard non può che rappresentare quello che ha detto Chimy. Anche se i mandanti non sono stati DC, la DC, secondo gli esecutori mafiosi, aveva la sua buona colpa. La realtà storica non deve essere utilizzata per interpretare la scelta di un regista che va verso un’altra interpretazione meno dettagliata ma più simbolica.
    Anche quello che dici, del punto di non ritorno, può essere vero, perchè la fine della prima repubblica inizia con tutti gli scandali dei primi 90, compresi gli attentati mafiosi, ma la seconda repubblica, a livello formale, non può che iniziare con le legislative del 94, che concretizzano il “cambiamento” (una parola grossa) dopo la riforma elettorale (viene introdotto il maggioritario al posto del proporzionale) approvata nel 93.

    Saluti.
    Para

    Rispondi
  56. Caspiterina…

    Non so cosa dire se non complimenti a entrambi.

    Per il resto io sono leggermente meno entusiasta, ma lo considero cmq un film bellissimo.

    Rispondi
  57. @marco: grazie, come sempre, per la bella riflessione e i complimenti.
    Come ha spiegato benissimo il mio compare, quella scena ha un significato simbolico, che non dev’essere per forza quello puramente storico.
    Secondo me, Sorrentino ha creato una geniale corrispondenza di collegamento fra le parti.
    La tua idea del punto di non ritorno è molto bella, però io continuo a pensare che quello skateboard sia, simbolicamente naturalmente, quello che ad inizio film viene fatto passare nel tunnel.
    Al di là di questo punto, concordi nel definirlo un capolavoro?

    Fammi sapere, che m’interessa moltissimo il tuo parere sul giudizio complessivo.

    @filippo: grazie anche a te ^^.
    Tutti troppo gentili.
    Noi siamo all’apice dell’entusiasmo ^^

    Ciao a entrambi, a presto

    Andre

    Rispondi
  58. anonimo

     /  6 giugno 2008

    sul giudizio complessivo non posso che essere entusiasta! quello che penso complessivamente penso di averlo gia’ detto. Mi piacerebbe confrontarmi sull’ analisi registica ma francamente avete gia’ detto tutto voi e non penso di essere in grado di aggiungere qualcosa di cosi’ significativo per cui lascio questo compito a chi di competenza. Quello che mi piace fare, come puoi osservare dai miei interventi, è vedere il cinema in relazione alla letteratura, alla mia storia personale o come in quest’ultimo caso alla Storia con la S maiuscola.

    l’unica cosa che mi sento di aggiungere e che puo’ avere un significato è aver saputo, con mio grande stupore, che in questa settimana i giovani hanno preferito andare al cinema a veder questo film piuttosto che Sex and the City…..VUOI VEDERE CHE TIRA UNA NUOVA ARIA?

    MARCO CRUCCU

    Rispondi
  59. Speriamo davvero che tiri una nuova aria. Io sono pessimista dal punto di vista del pubblico, ma spero di sbagliarmi.

    Ciao Marco

    Andrea

    Rispondi
  60. anonimo

     /  6 giugno 2008

    Credo che nell’attesa dell’eptaedro siamo tutti uniti da un cordone di impazienza… Attendiamo desiderosi!!!
    Comunque non è che tiro fuori Youngblood per la vidoearte, non sarò certo io ad iniziare un discorso del genere, solo che ho sentito parlare molto di questo libro (di cui ammetto sapere veramente poco) e mi incuriosiva abbastanza; d’altra parte anche il buon Chion, di cui non metto in discussione l’importanza del libro da lui scritto, ma solo la bruttezza ^^, è nato sotto l’egida del redivio Paul Schaeffer. Motivo ulteriore per cui non posso che disprezzarlo a prescindere…
    Comunque non date peso ai miei sfoghi di odio nei confronti di questi personaggi, è che, come ben sottolineato dal Para, andare allo IULM comporta delle conseguenze dal punto di vista psicologico…
    Vi lascio con un augurio di pace, in trepida attesa per la vostra recensione di Gomorra.
    Saluti ai bloggernauti

    Legolas

    Rispondi
  61. anonimo

     /  6 giugno 2008

    Saluti anche a Splinder che fagocita i commenti…

    Legolas

    Rispondi
  62. STASERAAA!!!

    Rispondi
  63. @legolas: la recensione di Gomorra l’abbiamo scritta:
    http://cineroom.splinder.com/post/17203125/Gomorra%3A+un+film+che+non+si+gu

    Fammi sapere di Youngblood, perchè cmq io ho parlato più per sentito dire, che per conoscenze.

    Ciao, a presto

    @frabaggy: Facci sapere, mi raccomando ^^

    Saluti

    Chimy

    Rispondi
  64. anonimo

     /  6 giugno 2008

    Sono peggio di Splinder, la recensione di Gomorra l’avevo anche già letta…
    Gli effetti nefasti della vita da studente… mah!

    Legolas

    Rispondi
  65. Don’t worry, ti capisco pienamente 😉

    Chimy

    Rispondi
  66. Dio mio!!!!
    Io vado domani!

    Rispondi
  67. Facci sapere ^^

    Chimy

    Rispondi
  68. concordo sulla grandezza di questo film. belli i paragrafi di chimy sul dialogo con lo spettatore e la storia del cinema, illuminanti…

    Rispondi
  69. Grazie di cuore ^^

    Chimy

    Rispondi
  70. O_o
    Mi ha totalmente sconvolto… Sorrentino mi fa questo effetto.
    Ma di sicuro non posso che amarlo.
    Certe scene (molte) sono fenomenali.
    Servillo è da inchinarsi al suo cospetto.

    Boh, vi giuro che adesso non riesco ad esprimermi! La vostra recensione (doop la visione) basta.

    Para e Chimy siete grandi!!!
    *_*

    Rispondi
  71. Ha sconvolto anche me. Sono riuscito a parlarne soltanto il giorno dopo alla visione ^^

    Un saluto e grazie (sempre gentilissima)

    Chimy

    Rispondi
  72. Bravissimi. Non so come avete fatto, io non sono ancora riuscito a scriverne niente e credo che ci riuscirò soltanto dopo la seconda visione.
    Che dire…questo mese di cinema mi ha soddisfatto!

    Rispondi
  73. Grazie ^^.
    Anch’io ho avuto bisogno di due visioni per parlarne. Attendo con ansia la tua recensione.
    Sono felice che il “tuo” mese alla fine ti abbia pienamente soddisfatto 😉

    Un saluto

    Chimy

    Rispondi
  74. Ringrazio Parachimy.
    Ieri sera ho visto finalmente il film e la sua recensione mi ha aiutato a gustare maggiormente il film.
    Dall’inizio alla fine senza battere ciglio…adoro il cinema che riesce a raccontare e a far riflettere dando alle immagini e alla musica lo scettro dei protagonisti…in questo modo creativo si lascia lo spettatore completamente attivo.

    Rispondi
  75. Sophie 71 grazie del commento e benvenuta su cineroom.

    Concordo pienamente con le tue parole e grazie dei complimenti alla nostre due recensioni (siamo in due Para & Chimy) 🙂

    Un saluto

    Chimy

    Rispondi
  76. Bellissimo il parallelo tra Anderson e Sorrentino!

    Le vostre recensioni sono molto appassionate: mi piacciono tantissimo!

    Complimenti davvero.

    Vi aggiungo subito tra i link dei miei blog preferiti!

    Ciaooooo!

    Rispondi
  77. Gazie mille Valentina! Troppo buona! 🙂
    Ah, benvenuta su Cineroom!
    Ricambiamo immediatamente il link.
    Adesso vengo anche a farmi un giro sul tuo blog!
    Saluti.
    Para

    Rispondi
  78. anonimo

     /  18 marzo 2009

    Finalmente visto. Elettrizzante. Questo è l’aggettivo che aggiungo a tutti quelli che avete già utilizzato nei post precedenti. Condivido pienamente le considerazioni delle rece e posso solo aggiungere qualche piccola osservazione personale.
    1) l’incipit mi ha incollato allo schermo e fatto gioire in tutte le mie percezioni sensoriali… al culmine quando Calvi appare appeso magicamente rovesciato e le scritte scorrono seguendo la direttrice visiva delle immagini, in una composizione grafica che mi ha ricordato certa cartellonistica sovietica del primo novecento… eppoi ad un tratto la pena dolorosa che mi ha preso all’immagine dell’auto di Falcone che esplode: unico evento che ricordo di aver vissuto in diretta e che quindi mi (ci) coinvolge profondamente.
    2) le citazioni, che sempre mi deliziano quando sono così misurate ed integrate in un’opera nuova… Leone;Nosferatu in vestaglia e sulla cyclette (eccezionale!); il Padrino coi suoi pomodori…
    3)ancora una volta le polemiche le fa solo chi il film non lo ha visto: Sorrentino non celebra Andreotti, lui è solo il pretesto per affrontare la nostra memoria storica indagando i rapporti fra potere e coscienza civile.
    L’ho già guardato due volte, ma non saranno le ultime…

    kyra

    Rispondi
  79. Finalmente l’hai visto! 🙂

    L’incipit ti porta subito ad uno status di “elettro-estasi” che non ti lascia più :). Molto interessante il riferimento alla cartellonistica sovietica così come le altre impressioni. Le citazioni sono davvero splendide.

    Io l’ho già visto 4 volte e non saranno le ultime neanche per me 😉

    Chimy

    Rispondi
  80. anonimo

     /  30 luglio 2010

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  81. anonimo

     /  31 luglio 2010

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    Rispondi

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