Nelle sale arriva il Faust di Sokurov, monumentale affresco su ambizione e potere

Articolo già pubblicato su IlSole24Ore

L'ultimo Leone d'oro fa il suo ingresso in sala. Mentre il Festival di Roma entra nel vivo con la presentazione (in contemporanea con l'uscita al cinema) de «Le avventure di Tintin – Il segreto dell'Unicorno» di Steven Spielberg, in questo weekend gli occhi degli spettatori italiani più cinefili saranno tutti rivolti verso «Faust», diretto dall'autore russo Aleksandr Sokurov, fresco vincitore del massimo riconoscimento alla scorsa Mostra di Venezia.

Ispirato alla tragedia di Goethe, Faust è l'ultimo protagonista di una tetralogia di Sokurov sul tema del potere, iniziata raccontando una pagina privata della vita di Hitler («Moloch») e proseguita con la rappresentazione degli ultimi giorni di vita di Lenin («Toro») e dei momenti in cui l'imperatore giapponese Hirohito rinunciò alla sua essenza divina alla fine della seconda guerra mondiale («Il sole»).

Supportato da un apparato sonoro e visivo straordinario, in cui le scelte fotografiche sembrano rimandare alla pittura di Bruegel padre e figlio, «Faust» è un monumentale affresco sull'ambizione umana e sulle conseguenze che questa può generare.

Seppure per qualcuno potrebbe risultare ostica, la visione di «Faust» è un'esperienza cinematografica irrinunciabile, in grado di affascinare per la sua rigorosa messa in scena e d'inquietare per la raffigurazione di un diavolo, umanissimo nella sua mostruosità, entrato già di diritto fra le figure mefistofeliche più memorabili della storia del cinema.

Presenze mostruose e angoscianti attraversano anche «Insidious» di James Wan, che esce in Italia a più di un anno di distanza dalla presentazione al Festival di Toronto 2010.

Prodotto (non a caso) dall'autore di «Paranormal Activity», Oren Peli, «Insidious» è incentrato attorno a una coppia che, appena trasferitasi in una nuova casa in periferia, vede uno dei suoi tre figli cadere in coma a seguito di un incidente domestico. Da quel momento l'abitazione risulterà infestata da inspiegabili fenomeni paranormali.

A metà tra una ripresa del filone demoniaco-infantile degli anni '70, di cui facevano parte «L'esorcista» e «Il presagio», e l'utilizzo dei più recenti cliché dell'horror contemporaneo, «Insidious» ripropone stancamente situazioni narrative già viste in passato, con personaggi stereotipati (in primis, l'anziana medium) interpretati da attori ben poco brillanti.
Il regista James Wan, che aveva fatto di meglio con il primo capitolo di «Saw-L'enigmista», inserisce furbescamente le sequenze più angoscianti verso le battute conclusive, ma nemmeno queste riescono a sopperire alla sensazione finale di aver assistito a un'ennesima pellicola orrorifica di cui non si sentiva il bisogno.

Di tutt'altro genere è invece «L'amore all'improvviso», commedia diretta da Tom Hanks che torna dietro la macchina da presa di un lungometraggio per il grande schermo quindici anni dopo «Music Graffiti».

Il regista veste anche i panni del protagonista Larry Crowne, uomo di mezz'età che, dopo essere stato licenziato dai suoi datori di lavoro per una carriera scolastica insufficiente, decide d'iscriversi all'università così da ottenere quel titolo che gli è sempre mancato.

Ispirato dai classici film sul sogno americano, Tom Hanks cerca di realizzare un'opera in grado di far rifletter sui tempi di crisi in cui stiamo vivendo, ma non riesce a centrare pienamente il bersaglio: il suo lavoro, seppur sincero, rimane vittima di un romanticismo troppo stucchevole e di continui escamotage retorici per colpire emotivamente il pubblico.

In conclusione, da segnalare negativamente l'interpretazione di un'insipida Julia Roberts, nei panni di un'insegnante di cui Larry naturalmente s'invaghisce, le cui recenti scelte professionali appaiono sempre più discutibili e superficiali.

 

Chimy

Voto Faust: 3,5/4

Voto Insidious: 1,5/4

Voto L'amore all'improvviso: 2/4

Torino Film Festival: secondo resoconto

Alexandra


Para: Quando ad una nonna manca il proprio nipote, e quando ad un nipote manca la propria nonna, cosa fare? Incontrarsi. Alexandra Nikolaevna è disposta addirittura ad andare al campo militare in Cecenia dove il nipote esercita il suo ruolo di ufficiale per l’esercito russo. Alexandra così sale con fatica su di un treno con addosso gli sguardi ambigui dei soldati.

Alexandra è la visitatrice esterna e fuori luogo, che cerca e porta affetto in un luogo dove la sabbia e la solitudine sono imperanti. Le lacrime non scendono, e anche se scendessero si riempirebbero di sabbia. Per un’anziana russa la nuova (?) guerra è un mondo altro, e i suoi modi “goffi” sono il concretizzarsi del suo essere fuori luogo. Ma anche in mezzo alla sabbia e agli sguardi di soldati, ceceni e cecene, Alexandra mantiene la sua forza innocente, la sua determinazione di raggiungere ciò che non le appartiene, tranne l’affetto per un nipote che vuole ancora esternare. Suo nipote, prima di partire e salutarla, dopo una discussione che rende l’idea di come il “nuovo” sia diverso dal “vecchio”, afferra tre ciocche dei suoi capelli e, intrecciandoli, le mostra come, in fondo, il “nuovo” sia comunque legato al “vecchio”. Nel ripetere un gesto che lui era solito fare da bambino le dimostra il suo immutabile affetto.

Alexandra è, forse, quella Russia che quei soldati sono costretti a difendere, ma è anche in fondo quello che quei soldati vogliono difendere: i propri affetti. Alexandra, così come è arrivata, se ne partirà, con un’amicizia (una donna del villaggio vicino al campo militare) che trascende la fazione, ma che guarda solo il fatto di essere due vecchie donne legate  a ciò che amano.

Alexandra, in mezzo ad una nuvola di sabbia, torna alla sua solitudine, e il treno scorre via, mentre Alexandra si guarda indietro per vedere ciò che lascia e la donna cecena, guarda a sua volta indietro, per vedere ciò che le rimane.


Chimy: Sokurov non delude, anzi…

Con "Alexandra" fa una profonda riflessione sull’inutilità della guerra e sulla forza dei rapporti di affetto (magnifica la sequenza in cui il nipote pettina la nonna) tra le persone care.

Quando Alexandra giunge al campo militare a cercare suo nipote, noi spettatori entriamo con lei, vediamo quel luogo (quasi assurdo) attraverso i suoi occhi che sembrano, a tratti, increduli.

Allo stesso modo quando lei se ne va (per uscire, per andarsene il quel "luogo altro" che attraversa la filmografia di Sokurov) noi ce ne andiamo con lei. Prendiamo il treno e iniziamo a riflettere sul profondo film che abbiamo visto.

E’ giusto sottolineare come sia un film bello e toccante, ma anche che non sia uno dei migliori di Sokurov. A causa della forma che deve sottostare ai notevolissimi contenuti.


Lars and the Real Girl


Para: Lars ha un problema, soffre, forse, del dilemma del porcospino, ha cioè problemi a rapportarsi con le persone e non sopporta il contatto fisico. La sua è una vita solitaria per scelta, ma intorno a se ha solo persone che in un modo o nell’altro gli vogliono bene, e fanno di tutto per non lasciare che si isoli troppo. Lars però troverà il modo di essere felice: si innamora, infatti, di una minuziosa riproduzione in lattice di una donna, Bianca. Nella sua testa Bianca è reale, ma agli occhi di tutti è solo un pezzo di gomma. Per non ferire i sentimenti di Lars, che appare per una volta felice, parenti e amici fingeranno che Bianca sia reale, in modo che lo stato di illusione mentale temporaneo in cui vive Lars svanisca. Il film è, nella sua leggerezza e nella sua delicatezza, un’opera originale, che si avvale dell’interpretazione davvero ottima di Ryan Gosling. Consigliato se volete passare un’ora e tre quarti piacevoli, leggeri, ma senza la minima stupidità.


Chimy: Vista la bruttezza di praticamente tutti i film "non di nome" presentati, questo potrebbe essere la sorpresa.

Intendiamoci è un film discreto, che però riesce a divertire in modo intelligente e allo stesso tempo riesce anche a sviluppare un interessante riflessione sul bisogno di compagnia (e anche sulla bontà umana, visto il modo in cui si comportano i parenti e gli amici di Lars) che ha ognuno di noi.


I fratelli Skladanowsky


Para:Wim Wenders è un genio. Punto. Questo, per me, è quasi un capolavoro. Un film di una bellezza rara. Wenders ha ben pensato di realizzare un omaggio ai fratelli Skladanovsky, tre fratelli tedeschi che fecero la prima proiezione cinematografica ad un pubblico pagante, il primo novembre 1895, circa due mesi prima dei Lumierè. Questi illustri (sconosciuti ai più) sono stati messi in ombra dalla superiorità tecnica del cinematografo Lumierè, ma la realtà vuole che non siano stai i Lumierè i primi, ma gli Skladanovsky.

Il film alterna momenti di finzione (relativi agli anni di attività dei fratelli), girati con un cinematografo a manovella, recitati come un film delle origini (con riprese fisse e gag slapstick), ad interviste dell’ultima figlia di Max Skladanovky, un’allegra novantenne che spiega tutti i numerosi brevetti, mai venduti, di suo padre. Secondo la sua testimonianza suo padre riuscì a precedere molte innovazioni tecniche relative a cinema e fotografia, come se quei mesi di vantaggio sulla ripresa e sulla proiezione avessero accelerato ogni altra sua invenzione.

Sul finire del film la realtà cinematografica si mescola alla realtà documentaristica, come se il cinema entrasse nella realtà. Il cinema è vita, e la vita è cinema. Lo zio Eugene, insieme alla nipotina, viaggiano per la Berlino degli anni ‘90 con una carrozza di fine ottocento, entrano con il loro tempo in un tempo altrui, così come riesce a fare il cinema.

Questo film è, semplicemente, il migliore degli omaggi che potessero essere fatti a dei pionieri dimenticati.

Bellissimo è dire poco.


Chimy: sottoscrivo ogni parola… un gran film (non certo l’unico del grande Wenders)


Noise


Para: 

Un film che parte benissimo e che finisce malissimo, con una parte centrale piena di problemi narrativi e stilistici.

Uno psicopatico uccide a colpi di pistola 7 persone su di un treno metropolitano, lasciandone viva soltanto una. Alla vicenda di questa ragazza sopravvissuta, che vive nel terrore di essere uccisa, si alterna quella di un agente semplice che potrebbe avere un tumore al cervello, dato che ha un perenne ronzio nelle orecchie (che siamo costretti a sentire anche noi spettatori).

Questo film, a mio avviso, sembra essere un episodio pilota di una possibile serie televisiva, dato che ci sono troppi spunti narrativi che vengono aperti e che non vengono chiusi. Il finale, oltre ad essere oggettivamente pessimo, appare come sconnesso, appiccicato come per mancanza di idee, non un finale aperto, ma un finale inconcludente.


Chimy: I primi dieci minuti, per me, sono folgoranti. Pensavo finalmente di vedere un bel film sorpresa (visto che non lo conoscevo prima del festival). Ecco, pensavo….

Dopo questa partenza tutto diventa noioso, stupido, già visto e banale.

Il finale è imbarazzante: dato che non sapevano come fare per far sì che il poliziotto capisse chi era l’assassino, hanno fatto sì che quest’ultimo iniziasse a sparare al poliziotto stesso (senza un senso).


Lino

Para: La finzione e l’arroganza condensati in un solo film. Il regista interpreta il padre e il figlio del regista interpreta il figlio. Una inguardabile presa in giro che cerca in tutti modi di sembrare vera, ma è soltanto una plastificazione della realtà, la stessa plasticaccia con cui sono fatti i pinguini giocattolo che ci vengono mostrati in più occasioni, oltretutto in ralenty.
Un uomo rimane solo con il figlio della compagna morta e non sa cosa fare, se tenerlo con se o cercare dei parenti. Tra i particolari che concorrono ad irritare ci sono tutte le scenette in cui Lino, il bambino di due anni, cerca di suscitare tenerezza nel pubblico, soprattutto quello femminile, che sembra aver apprezzato. In realtà queste scenette trasmettono una sensazione di falsità immensa, la spontaneità che vorrebbero trasmettere è inconsistente, sono soltanto trucchi malsani. Scelte a dir poco idiote, sequenze imbarazzanti, un finale irritante, due sole canzoni che arrivano a disgustare, rendono questo film assolutamente il più brutto dell’intero festival, un filmetto fatto da un incapace in maniera incapace e che piacerà solo agli (soprattutto alle) incapaci di capirne la reale essenza.

Chimy: sottoscrivo ancora tutto. Un abominio di arroganza e irritazione…

Eastern Promises

Para: Il ritorno di Cronenberg? Forse. Sicuramente più vicino alla “tradizionale” cinematografia del canadese, ma comunque ancora lontano.

Un film che parla di mafia russa, forse la prima volta nella storia del cinema, e che in qualche modo ripercorre le normali dinamiche di un film mafioso.  Il film ha però grandi pregi: tre interpretazioni magistrali (Viggo Mortessen, Vincent Cassell, Naomi Watts), una bellissima regia e un davvero minimo ritorno al concetto di carne. I tatuaggi dicono tutto di una persona, sono scritte sulla carne che diventa così silenziosamente espressiva.

Qualche scelta narrativa mi è dispiaciuta ma, comunque, per me rimane un bel film, nulla più.

Settimana prossima uscirà in sala, se ne riparlerà, soprattutto ne riparlerà Chimy, che ne è stato folgorato.


Chimy: Un film semplicemente strepitoso.

Girato splendidamente, senza cali, con un ritmo narrativo da far impallidire qualunque altro regista.

Un’opera magnifica, secca, cruda, glaciale. Un’opera con la quale il genio profetico di Cronenberg tratta temi tipici del suo passato recente (la famiglia, l’identità), e remoto (la carne, il sangue, il corpo).

Ed è proprio la profondissima riflessione sulla carne che mi ha fatto semplicemente impazzire: la carne del singolo diventa carne del mondo; conta la famiglia, il sangue del proprio sangue, l’appartanenza (i tatuaggi), ma soprattutto conta il fatto di essere fatti della stessa materia, anche senza avere alcun legame. Questo basta per creare un’unione di affetti tra diversi individui (questa riflessione è solo accennata, al minimo, dato che quando uscirà in sala svilupperò a lungo una riflessione su questo punto)

Dal punto di vista formale, inoltre, è perfetto: tagli, inquadrature, montaggio magnifici (si può dirigere meglio un film al giorno d’oggi?), ma "Eastern Promises" è anche perfettamente recitato.

Naomi Watts e Vincent Cassell sono bravissimi…Viggo Mortensen è semplicemente immenso: da oscar (come la regia e, forse, il film).

La lezione di cinema di Cronenberg uscirà nelle sale il 14 dicembre (speriamo nel doppiaggio, peccato per il brutto titolo italiano "La promessa dell’assassino")

Siete pronti a sconvolgere le vostre classifiche dei migliori film del 2007???

 


 

p.s. non abbiamo visto il fim vincitore "Garage" (purtroppo l’abbiamo perso), quindi non possiamo neanche arrabbiarci troppo coi premi…

 

p.p.s un saluto e un ringraziamento al nostro compagno di merende  honeyboy per la compagnia… e un sentito grazie anche a "Vogelfrei" per il divertimento che ci ha fatto avere.