Il treno per il Darjeeling: un film girato sui binari

Il treno per il Darjeeling” è un film girato sui binari. Su più livelli. Ad un primo livello perché ambientato per buona parte su di un treno (e il treno riserva una notevole importanza), e ad un secondo livello, quello linguistico, perché buona parte delle riprese sono carrelli, e come tutti sanno i carrelli vengono realizzati muovendo la macchina da presa su delle rotaie. Ci sono carrelli sempre ed ovunque, carrelli lunghissimi e carrelli cortissimi, carrelli che si muovono per metri e metri seguendo i protagonisti e carrelli che si muovono a dir tanto 50 centimetri all’interno della cabina letto del Darjeeling Limited.

“Il treno per il Darjeeling” è dunque il carrello di un momento della vita di tre fratelli, che si muovono per itinerari fissi e millimetrici, su due rotaie, appunto, ma sui quali è sempre più difficile restar ancorati, anche se non ci si schioda mai.

Francis (Owen Wilson), Peter (Adrian Brody) e Jack (Jason Shwartzman) si ritrovano in India per cercare l’unità familiare, sia tra di loro che con la madre scomparsa. Iniziano quindi un viaggio in India, un “train trip” alla ricerca di quella spiritualità “per tutti” che l’India vende (o che solo noi vogliamo comprare a tutti i costi) come attrattiva turistica. Ma i tre fratelli rappresentano egregiamente l’uomo moderno, alla ricerca della propria casa e delle proprie abitudini ovunque ci si trovi. Non si rinuncia alle droghe legalizzate (i medicinali), si cerca un adattatore di corrente, si fa shopping inutile (un serpente), si prega nello squallido tempietto dell’aeroporto, si va in India a cercare sé stessi con dodici valige fatte su misura e con un assistente personale che pianifica e plastifica itinerari di viaggio. Ognuno di noi può rivedersi nei tre personaggi, proiezione estremizzata dell’occidentale in vacanza.

Il loro sarà però un viaggio in cui non cambierà sostanzialmente nulla, e l’unico risultato sarà l’accettare, non per forza serenamente, la propria condizione e quella dei fratelli. Francis rimarrà il fratello più grande un po’ genitore, Peter il fratello di mezzo combattuto e scorbutico e Jack il fratellino che se ne sta in disparte. Esattamente come all’inizio del film. E il film finisce come sarebbe dovuto iniziare, cioè con l’abbandono di tutto e con lo sforzo di capire e sopportare l’altro.

Da ricordare, poi, un paio di sequenze da applausi: l’incipit, con Bill Murray su un taxi a tutta velocità, e un carrello che attraversa delle ipotetiche cabine di un treno in cui ogni personaggio si è ricreato il proprio “habitat” naturale. Da applausi anche “Hotel Chevalier”, il cortometraggio con Natalie Portman che precede il film, in cui capiamo che pasta d’uomo è Jack Whitman, e mentre capiamo questo lo invidiamo tutti da morire. Inutile sottolinearne il motivo.

Un road movie che scorre via liscio senza inciampare mai, e grazie alle vicissitudini che i tre personaggi affrontano ne assaporiamo con piacere la psicologia, rivelandosi ben più profondi e “ben scritti” di quanto si potesse immaginare.  

Un’ora e mezza che passa al volo, fino ai bellissimi titoli di coda che scorrono sullo schermo sopra la stessa inquadratura a lato del treno dei piccoli intermezzi di “Intrigo Internazionale” di Hitchcock, ma qui al posto di andare verso monte Rushmore si va verso, forse, il Dar Mahal.

Para

Voto Para: 3/4

"E tu chi vuoi essere?". Sembra di tornare bambini guardando i tre bellissimi personaggi protagonisti de "Il treno per il Darjeeling". Ognuno si sceglie il suo preferito, quello che più gli è simpatico o quello a cui si sente più vicino.
Da una breve ricerca sociologica che mi è piaciuto fare, ho notato che le preferenze sono praticamente equamente distribuite fra tutti e tre. Dato più che interessante.
Ah, il mio preferito è stato il personaggio di Jack, interpretato da un Jason Schwartzman spettacolare; ma altrettanto bravi sono stati Owen Wilson e Adrien Brody, volti perfetti per il cinema di Wes Anderson.
Ah, già, Wes Anderson, quel ragazzino geniale e vanesio che fa impazzire gli intelettuali del cinema e che è così chique amare intensamente.
"Il treno per il Darjeeling" è il suo film, forse, più personale, certamente il più coraggioso.
Le ossessioni andersoniane delle precedenti opere sono portate alle estreme conseguenze: il viaggio è la meta stessa del percorso, la necessità di rinnovare continuamente i legami familiari e l’impossibilità di trovare una soluzione ai problemi della vita sono le reali tematiche che a Wes Anderson interessa portare avanti.
La frammentarietà ordinata, la sgangheratezza misurata e controllata fanno de "Il treno per il Darjeeling" un piccolo gioiellino che colpisce dall’inizio alla fine, o forse dalla fine all’inizio.
Wes Anderson, dopo aver stupito il mondo cinefilo con "I Tenenbaum", torna, con un film certamente di pari valore, a farsi decisamente apprezzare, dopo l’intermezzo gratificante (per sè e per i fan) de "Le avventure acquatiche di Steve Zissou", altrettato stravagante ma molto meno intelligente.
Ah, e non dimentichiamoci gli straordinari camei di Natalie Portma e, soprattutto, di Bill Murray, la cui corsa iniziale per prendere il treno in cui viene superato da Adrien Brody è già memorabile.
Ah, assolutamente incipit dell’anno.

Chimy

Voto Chimy: 3/4