"Assembly": l'audio visione secondo Feng Xiaogang

Un monumento e una tromba. Una stella rossa nella neve e un nastro rosso che avvolge lo strumento. Il rosso del sangue e il silenzio dei morti, corpi che avevano una voce che non suonerà più.
Così inizia e finisce “Assembly”, con una tromba dell’esercito appoggiata su di un monumento ai caduti. La macchina da presa, muovendosi dal particolare del nastro rosso verso l’alto, rivela una grande stella rossa in cima ad un cubo di mattoni. Lentamente l’inquadratura ampia e silenziosa mostra ciò che circonda quello che solo alla fine scopriremo essere un monumento ai caduti. Il film racconterà nelle successive due ore la storia di chi è commemorato in quel monumento, e soprattutto dell’uomo che ha lottato con tutte le sue forze per commemorare quegli uomini.
Gu Zidi è il comandande della 9° compagnia, 139° battaglione dell’esercito popolare di liberazione cinese durante la guerra civile del 1948 – 1949 tra comunisti e nazionalisti. La pellicola, magistralmente diretta da Feng Xiaogang, si sviluppa in due parti, una relativa alla guerra e alle battaglie della 9° compagnia, e l’altra relativa al dopoguerra, con la disperata ricerca da parte di Gu dei corpi dei suoi 46 soldati, morti durante una sanguinosa battaglia nei pressi di una miniera di carbone. Durante questo scontro, che chiude la prima parte, si sviluppa il nodo centrale della successiva: l’Assemblea aveva dato il segnale per ritirarsi durante lo scontro o avevano combattuto fino alla morte inutilmente? Con questo dubbio nella testa, carico delle responsabilità che spettano ad un comandante, Gu cercherà in tutti modi di dare la giusta riconoscenza ai suoi soldati caduti, arrivando addirittura a scavare con le proprie mani nella miniera di carbone teatro della sanguinosa battaglia.
Proprio il carbone nel film rivela una certa importanza. Per tutta la prima parte il carbone ardente accompagna assiduamente la vita di Gu, che vi si siede accanto per cercare calore, per riflettere e anche per arrostirsi due patate. Il carbone che produce calore e aiuta a vivere, diventerà freddo, sporco e coperta mortuaria per quelli che Gu considerava come figli.
“Assembly”, oltre per una costante e riuscita volontà di non essere propagandistico ma anzi imparziale, colpisce soprattutto per la realizzazione, in particolare per quanto riguarda il rapporto suono – immagine. “Assembly” è un prodotto audio visivo nel senso più puro del termine, perché la simbiosi raggiunta è stupefacente. A ben vedere, però, a “comandare” tra le due parti vi è l’impianto sonoro. Le immagini, i movimenti di macchina, la scelta delle inquadrature e la “cadenza” del montaggio seguono, infatti, ciò che stiamo udendo, e non viceversa. E’ come se il film regga prima sulle urla, sugli spari e sulle esplosioni piuttosto che sui volti, le armi e le scenografie. Per dimostrare questo assunto è sufficiente prendere in esame una qualsiasi delle sequenze del film, non necessariamente quelle di battaglia, anche se in quest’ultime può essere certamente più facile rendersene conto. Ad esempio, verso la fine del film, si può assistere ad un litigio tra Gu ed un ufficiale, durante il quale la macchina da presa, anche grazie a delle riprese a mano, si muove, si “agita”, quasi a voler seguire il tono di voce e la “musicalità” aggressiva delle voci dei due uomini. In particolare la voce di Gu (o la voce di Zhang Hanyu, l’attore che lo interpreta), che ci accompagna per tutto il film, è di una bellezza e di una funzionalità stupefacente. Mi viene da credere che il regista l’abbia scelto prima per la voce che per la faccia. Una voce brusca, che stride con l’abituale cadenza armonica della lingua cinese, ma che sembra fatta apposta per le situazioni che Gu deve affrontare nel film.
Se, come abbiamo visto, la parte sonora mostra la sua importanza, la brillantezza del risultato finale è data ovviamente anche dalla parte filmata. Il regista dirige in maniera impeccabile, con movimenti di macchina misurati ed adeguati. Anche la camera a mano, forse troppo traballante in alcuni momenti della prima battaglia, è usata con maestria, sempre attenta alla simbiosi con il sonoro. Nelle parti più silenziose, e ansiose, la macchina da presa si muove lentamente, con carrelli e dolly delicati, per poi sobbalzare, magari in occasione di un’esplosione, verso movimenti bruschi e tagli veloci. Il risultato è un flusso di suoni e immagini che riesce addirittura a far sembrare la camminata di un uomo tra le trincee un piano sequenza di due minuti anche quando in realtà sono più riprese fuse totalmente.
In totale, con questo film, Feng Xiagang dimostra di essere un regista di cinema totale, di quel cinema fatto come unione indissolubile di suono ed immagini. Con l’attenzione riversata nel film verso questo fondamentale rapporto è riuscito a realizzare una pellicola dove il grado di assorbimento dello spettatore nella realtà filmica è sorprendente.
E alla fine, quella tromba appoggiata sul monumento è l’emblema del fracasso della guerra, che inizia e finisce nello stesso modo: col silenzio e coi morti.

Para
Voto Para: 3/4

Concordando con tutta la bellissima recensione del Para, non aggiungo altro sul film, ma volevo brevemente dire due parole sul cinema di Feng Xiaogang, in rapporto con l’industria cinese cinematografica contemporanea.
Delle "Big 4" dell’area dell’estremo oriente (Cina, Corea del sud, Giappone, Hong Kong) la Cina è certamente la nazione che sembra che si stia sempre più accomodando su convenzioni cine-contenutistiche già ampiamente trattate.
Il cinema cinese (diciamo il 90%) si snocciola ormai su un’unico tipo di genere: il dramma sociale.
Ambientati sempre nell’età contemporanea o nei decenni da poco passati, il cinema cinese si concentra sui problemi pubblico-amministrativi della Cina attuale, sia dei piccoli villaggi che delle grandi città.
I temi trattati restano comunque molto definiti: la disoccupazione, la crescita, l’istruzione…
Si rischia molto poco e, al più delle volte, si vanno a riprendere tematiche che hanno avuto fortuna nei film di Zhang Yimou, in particolare in quelli degli anni ’90: da "Non uno di meno" a "La storia di Qiu Ju". Se quei film di Zhang erano, dieci anni fa, molto importanti per mostrare al mondo una realtà poco conosciuta, oggi continuare a rifare quei film non ha più molto senso (tanto che lo stesso Zhang Yimou si è buttato, come sappiamo, su ben altro).
Feng Xiaogang, cinese doc, fa un cinema molto diverso e anche per questo è decisamente interessante.
Fa Cinema spettacolare, cosa che il cinema cinese odierno ha quasi dimenticato.
Una spettacolarità però che ci piace pienamente, perchè usa straordinariamente (come ha spiegato perfettamente il Para) la mdp e il sonoro.
Feng ama anche rischiare, cosa che non può che far bene al cinema cinese. "The Assembly" è il primo film cinese che non prende posizione su un fatto storico così importante; con "The Banquet" è stato invece portato lo spirito (quello vero) shakespeariano nella Cina in costume. Mica poco.
Un cinema quindi che tratta contenuti diversi da quelli del dramma sociale, ma con forza anche maggiore, e che unisce a questi una buona dose d’intelligenza spettacolare e di sapiente regia.
Iniziamo davvero ad annotarci il nome di Feng Xiaogang, del quale cercheremo di non perderci i prossimi lavori.


Chimy
Voto Chimy: 3/4

FEFF 2008: Giorni 2 e 3

TRIVIAL MATTERS di Pang Ho-cheung

Chimy: Il film da odiare. Pang Ho-Cheung realizza sette inutili e pretestuosi episodi, che avrebbero la pretesa di raccontare le diversità e le contraddizioni dell’età contemporanea, per questo "Trivial Matters".
Pang cerca di fare un cinema colto, con il quale essere apprezzato da chi vuole essere considerato un sapiente intelettuale, ma in realtà realizza solamente un’opera poverissima di idee e che provoca più di un’irritazione.
Difficilissimo stabilire una classifica dei sette episodi, perchè praticamente tutti inguardabili.

Para:  Pang Ho-cheung vuole fare un film che tratta temi volgari e di umorismo spicciolo che piaccia anche agli intellettuali. Il riultato è un’accozzaglia di inutili cortometraggi che non funzionano nemmeno troppo bene dal punto di vista ludico.
Oltretutto ci sono anche fastidiosi errori: come chi fuma senza fumare.
Certo che però un ragazzo che si crede civilmente impegnato perchè con il getto della propria urina toglie gli escrementi nei bagni pubblici merita tutto il rispetto.

SECRET di Jay Chou

Chimy: "Secret" è l’esordio registico del bravo attore Jay Chou, che realizza un film spiazzante e non facile da valutare.
Per tutta la prima parte è un film molto convenzionale, ben fatto, che sa molto di già visto e di conclusione telefonata.
Poi ad un tratto il film vira da una normale storia di amori e gelosie adolescenziali ad una storia ad alto tasso fantastico. Cambio di direzione improvviso, forse discutibile, ma che certamente ha meravigliato gli spettatori in sala. Esordio molto interessante.

Para: sottoscrivo e non ho niente altro da aggiungere.

A FLOWER IN HELL di Shin Sang-ok

Chimy: Prosegue ancora molto bene la retrospettiva sul padre del cinema coreano Shin Sang-ok.
I suoi film degli anni ’50 si rivelano molto importanti dal punto di vista sociale-contenutistico e "A Flower in Hell" lo dimostra pienamente.
Il film è uno spaccato della società coreana in un periodo di transizione. Come nel film precedente vi è una grande attenzione alla condizione femminile del periodo: l’attrazione per i regali dei soldati statunitensi, che si contrappone ai sentimenti per gli uomini coreani, ricchi o poveri che siano.
Peccato davvero che sia un regista rimasto a lungo sconosciuto.

Para: se con il primo film il regista poteva essere chiamato Shin Sang-Ozu, con questo potrebbe essere Shin Sang-Rossellini. Ovviamente non c’è plagio, e nemmeno omaggio, Shin Sang-ok ha il suo stile, ma questo rende bene l’idea del cinema del maestro coreano. In questo caso un bello spaccato della corea del dopoguerra.


IN THE POOL di Miki Satoshi

Para: Esordio al cinema per il folle Miki Satoshi, regista televisivo e pubblicitario (come alcuni dei registi rivelazione giapponesi degli ultimi anni), che confeziona un film altrettanto folle. Umorismo tipicamente giapponese, e quindi, forse, per intenditori di tale comicità. Il film è un montaggio alternato della vita di tre personaggi affetti da problemi psicologici e della loro interazione con uno psichiatra pazzoide amante dei vestiti leopardati. Inutile sottolineare che anche il dottore non è esempio di sanità mentale. Se le parti riguardanti un trentenne affetto da un’erezione perenne sono le migliori, stessa cosa non si può dire di quelle riguardanti una ragazza affetta da manie ossessivo compulsive e soprattutto dall’inutili parti in cui conosciamo un manager che ha la mania del nuoto: anche se lìintento del regista era di utiizzare queste come distensivo per lo spettatore, al contrario diventano solamente noiose. In ongi caso un buon passatempo.

Chimy: Un film en passant. "In the Pool" è un film che passa sopra senza colpire praticamente mai.
Non irrita e non è mal fatto, ma semplicemente si vede senza ridere più di tanto nè senza provare particolari emozioni. Oggi vedremo quello che viene considerato il suo miglior film, spero che mi colpisca di più di questo.

THE ASSEMBLY di Feng Xiaogang


Para: Eccoci finalmente al miglior film visto fin’ora al festival: "The Assembly" è una lezione di cinema sorprendente. Incentrato sulla guerra di Corea degli anni 50, racconta la guerra vista dagli occhi di un capitano dell’esercito cinese (che appoggiava la corea del Nord) con obiettività e senza schierarsi.La regia è ottima sia nelle meravigliose sequenze di battaglia che nelle parti riflessive e nel drammatico dopoguerra, dove Gu, il capitano, cerca i cadaveri dei propri 46 soldati per dar loro la giusta sepoltura.
Una delle caratteristiche più sorprendenti del film, e che tratteremo in un post futuro totalmente dedicato al film, è l’attenzione al rapporto suono-immagine: la parte visiva sembra seguire la parte sonora, e non viceversa. Se questo rende incredibile la regia delle battaglie, tale espediente risulta altrettanto incredibile anche quando il regista ci mostra una lite tra due soldati che sbraitano l’uno contro l’altro.
Grandioso.

Chimy: Impressionante. Raramente si sono viste nella storia delle scene di battaglia girate meglio che in "The Assembly". La mdp segue perfettamente la concitazione di quei momenti: gli spari, la tensione, gli effetti sonori.
La regia,molto sapiente, alterna un montaggio rapido a riprese lunghe, che sfociano in un pianosequenza da vedere e rivedere.
Feng Xiaogang aveva già stupito alla Mostra di Venezia 2006 con "The Banquet"; ora con questo "The Assembly", che meriterà una futura normale recensione, fa ancora meglio.
Un regista che fa vero Cinema, nel senso di unione di sonoro e visivo, e il cui nome bisogna iniziare davvero a ricordarsi.