"Paranoid Park": mamma mia guarda come mi diverto a skatare con Gus Van Sant!

Paranoid Park è uno skatepark. Punto. Negli skatepark ci vanno gli skater a girare sullo skateboard. Punto.
Uno di questi skater è Alex, che va a Paranoid Park è non gira sullo skateboard, quindi non è uno skater, ma solo un adolescente freddo, apatico, distaccato e con problemi personali e familiari. Nella sua “allegra e spensierata” vita riesce addirittura ad uccidere un vigilante ferroviario: colpendolo con il suo skateboard, e macchiandosi inspiegabilmente di sangue felpa e maglietta, l’uomo perde l’equilibrio, cade sulle rotaie e un treno lo trancia a metà. Come se non bastasse l’uomo, il cui busto dista circa un metro dalle sue gambe, che rimangono collegate da un filo di budella, striscia verso Alex per chiedere aiuto. Plausibile e possibile nella realtà, vero? E soprattutto in linea con la delicatezza che mantiene buona parte del film, vero? La risposta è no. Questa scena è imbarazzante e da sola basta a far vedere con il binocolo il titolo di capolavoro a “Paranoid Park”.
A ribaltare questa scena che è manifesto di “difetto” c’è però un intelligentissimo sistema narrativo ad incastro e ripetizione, già visto in qualche modo in “Elephant”, e alcune sequenze davvero ottime.
La ripetizione e l’incastro narrativo è un buon sistema per dare allo spettatore la possibilità di ricostruire personalmente i fatti proposti, e per ripetere da un diverso punto di osservazione, ma non “di vista”, un fatto. Proporlo in ordine temporale apparentemente casuale toglie linearità e da dunque allo spettatore una visione leggermente meno passiva, e dunque una fruizione per qualche verso più intelligente.
Alcune sequenze restano poi girate egregiamente, dandoci la prova che, in fondo, Gus Van Sant ci sappia fare. Le due belle riprese fisse durante il primo amplesso di Alex (che poi voglio dire, ha 16 anni, chi a 16 anni la prima volta è messo così? Ma sorvoliamo), e durante la conversazione col padre sono valide almeno quanto alcuni piani sequenza realizzati seguendo il camminare lento e insicuro di Alex.
Due grandi pregi questi, che bilanciano anche un altro difetto, però più piccolo: le riprese in super 8. Che la ripresa in super 8 dia il senso “amatoriale” è scontato, e anche che le consuete riprese amatoriali su skate siano sempre fatte in super 8, ma inserirle con più o meno casualità in troppe situazioni, con la musichetta dolce e in ralenty, a mio avviso appaiono ben più finte di quanto vogliano invece sembrare vere.
Gus Van Sant ha poi l’arroganza di credere di osservare senza giudicare ma, a differenza di “Elephant”, dove ciò è obiettivo, in “Paranoid Pak” non fa altro che girare intorno, guidando lo spettatore verso la sua interpretazione, compie dei tricks, come gli skater a Paranoid Park, che vogliono far apparire una tavola di legno e uno skatepark mezzi e luoghi per esprimere la propria anima. La matita viaggia sul foglio, le rotelle viaggiano sul cemento “paranoico”, Gus Van Sant muove la sua mdp, e in tutti e tre i casi sono necessari dei “trucchi” per far apparire tutto meglio di quanto sia. Spruzzi creativi nella scrittura; ollie, kickflip e manual sullo skate; intensità cinematografica sulla pellicola. Gus Van Sant prende un pezzo di legno e cerca di fare l’autore, girando intorno ai suoi già riconosciuti pregi, rovinandoli di tanto in tanto.
Però il film tutto sommato funziona, ma rimane più irritante notare come il regista manchi il trick cadendo, che appagante quando invece fa il suo lavoro con la classe dell’artista. Tocca i vertici in entrambi i casi, e dato che rimane più spesso in piedi sulla tavola, piuttosto che a terra con le ginocchia sbucciate, possiamo dire che “Paranoid Park” è sì un buon film, ma nulla più.
Para
Voto Para: 3/4

COMMENTO DI CHIMY

Dopo alcune divergenze su "La promessa dell’assassino", questa volta sono d’accordo con il giudizio complessivo espresso dal buon Para.
Gus Van Sant fa, con "Paranoid Park", una profonda riflessione sull’età che da sempre più gli interessa: l’adolescenza.
Il senso di colpa di Alex (dopo l’omicidio) è ben rappresentato dall’attore (esordiente) Gabe Nevins che riesce a trasmetterci l’apatia presente nel suo personaggio.
Il mondo del protagonista sembra fermarsi dopo il fattaccio: non sembra ascoltare più nessuno, niente sembra più sconvolgerlo, neppure le più forti emozioni (molto bella la sequenza dell’apatico "primo" rapporto sessuale) riescono ad oltrepassare la barriera di un senso di colpa che neanche l’acqua riesce a purificare (altro momento molto riuscito: la doccia).
Nonostante questa profondità di contenuti, anche a mio parere "Paranoid Park" ha dei problemi nella forma.
Tra quelli sottolineati da Para sono d’accordo, in particolare,  sulla scena dell’ "uomo tranciato in due": brutta, fuori dalle corde di Van Sant e non in linea con "la delicatezza che mantiene buona parte del film" (citazione dalla rece del compare).
Vorrei sottolineare però un altro "errore" che, personalmente, ho trovato imperdonabile: prima che Alex bruci la lettera con la quale ci confessa quello che ha fatto, durante una conversazione una sua amica gli dice: "L’importante è scriverla la lettera (…) poi puoi farne quello che vuoi (…) puoi anche bruciarla"; anticipando così l’azione toccante di Alex, che diviene per questo telefonata e priva di quel maggiore fascino che poteva avere (per molti potrebbe essere una quisquilia, per me non lo è).
Soprattutto per i contenuti è un buon film, ma andiamoci piano a parlare di capolavoro.
Così come dovrebbe andarci più piano Van Sant che, nella sua sempreverde modestia, definisce il personaggio di Alex come un "Dostoevskij sullo skateboard".

Voto Chimy: 3 / 4