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È morto stamattina all’età di 89 anni Eric Rohmer, uno dei più grandi registi della storia del cinema francese.
Aveva iniziato la sua carriera come critico e teorico cinematografico (attività che ha sempre portato avanti con successo) scrivendo soprattutto sui cahiers du cinéma, rivista-chioccia della nouvelle vague che stava nascendo in Francia alla fine degli anni ’50 e della quale fu caporedattore dal 1957 al 1963.
Il suo primo lungometraggio fu lo sfortunato “Il segno del leone” del 1959, che trovo però una distribuzione soltanto tre anni più tardi.
Maggiore fortuna Rohmer la trova negli anni ’60, iniziando a realizzare un ciclo di sei film che verranno definiti “i racconti morali”. In queste opere, tra le quali particolarmente rilevanti sono “La collezionista” del 1966 e “La mia notte con Maud” del 1969, si inizia già a delineare lo stile che caratterizzerà l’intera carriera del cineasta francese, sviluppato su una vera e propria etica cinematografica spogliata da ogni forma possibile di spettacolarità.
Il confronto con le altre arti è sempre stata un’altra delle fondamenta del cinema di Rohmer; come dimostrano alcuni suoi film degli anni ’70 come il pittorico “La marchesa Von…” del 1976 il teatrale “Perceval” del 1978.
Nel corso degli anni ’80 realizza il suo secondo ciclo di film, intitolato “Commedie e proverbi”, che si aprirà con “La moglie dell’aviatore” del 1981: un perfetto esempio di cinema dove la colonna sonora è fatta unicamente di suoni d’ambiente registrati in presa diretta. Del 1986 è un altro dei suoi risultati più celebri e indimenticabili: “Il raggio verde” che vince un meritato Leone d’Oro alla Mostra di Venezia.
L’ultimo grande ciclo saranno i “racconti delle quattro stagioni”, che vanno dal “Racconto di primavera” del 1990 al “Racconto d’autunno” del 1998.
Nel 2001 Rohmer riceverà un altro grande riconoscimento dalla Mostra di Venezia: il Leone d’oro alla carriera, che gli viene dato nello stesso anno in cui presentava in laguna il suo terzultimo lungometraggio “La nobildonna e il duca”.
Dopo “Triple Agent” del 2004, nel 2007 realizza “Gli amori di Astrea e Celadon”, che sarà nuovamente in concorso alla Mostra di Venezia, anche se le difficili condizioni di salute del regista non gli avevano permesso di essere presente di persona a introdurre il suo ultimo film, nella città e nel festival che gli avevano tributato i più alti riconoscimenti della sua carriera.
Consiglio di CINEROOM: oltre ai suoi film, per chi non l’ha ancora fatto recuperate (almeno) il suo saggio fondamentale "La celluloide e il marmo" presente in Giovanna Grignaffini (a cura di), Il cinema secondo la nouvelle vague, Temi Editrice.