"Moolaadè": l'ultima perla (nera) di Ousmane Sembene.

mooladePotremmo parlare di “Moolaadè” dicendo che è un film che tratta dell’escissione, pratica tanto antica quanto crudele che consiste nell’esportazione del clitoride alle bambine di alcune popolazioni africane (ma anche indonesiane ed islamiche). L’escissione ha significato profondo in queste popolazioni, che la ritengono una pratica necessaria per purificare la donna e indispensabile per potersi offrire in moglie.
Il film però parla poco del salindè (termine indigeno dell’escissione, considerato un rito) e tanto di tutto quello che ci sta intorno.
Il moolaadè è infatti la richiesta di protezione. Protezione che quattro bambine chiedono a Collè Ardo, donna che impedì l’escissione a sua figlia, salvandole prima di tutto la dignità, forse anche la vita ( per ovvi motivi, anche igienici, molte bambine muoiono dopo questa pratica), ma rendendola bilakoro, cioè una ragazza che non essendo stata sottoposta al rito del salindè non può essere sposata. Collè Ardo accetta la richiesta delle quattro bimbe e da inizio al moolaadè: pone dei nastri colorati all’ingresso del cortile di casa, limite invalicabile dall’interno per le quattro protette e, ovviamente dall’esterno, per le sacerdotesse munite di coltellino sporco che vogliono continuare la millenaria tradizione del salindè. Il moolaadè è un diritto sacro che nessuno può infrangere, pena l’ira del kalifa, lo spirito protettore del moolaadè. Non ci sono soprusi violenti per decidere chi ha ragione. La tradizione si combatte con la tradizione.
Gli uomini del villaggio sono indignati dall’intraprendenza di Collè Ardo, e dall’influenza che suscita sulle altre donne, da sempre combattute tra la tradizione da una parte e l’obiettività della situazione dall’altra. Tra le prime cause che gli uomini attribuiscono a questa “rivoluzione” vi sono le radioline a batterie che rappresentano un po’ quella millenaria convinzione che chi è istruito (in questo caso informato) è difficile da tenere a bada. Soluzione: radioline al bando.
Il film è girato in Burkina Faso, ed è permeato da un’aura quasi fiabesca. Non c’è atrocità, moralismo, retorica, compassione della condizione degli abitanti del villaggio (molti di loro non sono attori), tutto è visto con gli occhi di conosce quella realtà, di chi sicuramente critica quella realtà, ma senza mai cadere in stereotipi. Ed è questa la grande potenza del cinema africano, il potere di dire come stanno realmente le cose, senza eccessi né da una parte né dall’altra.
Questa aura fiabesca è creata grazie al continuo rimando a riti e tradizioni e all’uso di colori accesi presenti in tutte le inquadrature: i vestiti, i nastri, gli oggetti che mette in vendita mercenarì, il mercenario che rifornisce il villaggio di qualsiasi cosa.
E la regia di Ousmane Sembene è un ottimo esempio di come la semplicità sia a volte la cosa migliore. La bellezza incredibile con cui si presenta il film è anche merito di una regia, appunto, tanto semplice quanto efficace: tutto è mostrato con semplicità, in maniera diretta.
Concludendo non vi dico se a “vincere” sarà la tradizione, oppure la rivoluzione di Collè Ardo, perchè questo lo dovete scoprire da soli. Vi invito, anzi vi consiglio vivamente, di recuperare questo film e di guardarlo, anche solo per omaggiare un pioniere che ci ha lasciati.

Para
Voto Para: 3,5/4

Addio a Ousmane Sembene…

sembeneProprio nella settimana in cui esaltiamo il magnifico "Daratt", se ne va uno dei più importanti registi africani della storia del cinema: Ousmane Sembene.
Sembene, nato in Senegal nel 1923, aveva come prima passione la letteratura, non il cinema.
Inizia a scrivere romanzi nei primi anni ’50: il primo successo sarà "Les bouts de bois de Dieu" del 1960.
In questi anni gli cresce però anche la passione per il cinema: impara il mestiere del regista studiando a Mosca alla scuola di Gorki.
Dopo alcuni corti, realizza il suo primo lungometraggio, nel 1966, intitolato "La noir de..", uno dei primissimi film del continente africano.
Nel corso degli anni ’70 lavora costantemente, realizzando film come "Emitai" e "Kala", premiati ai festival di Mosca e di Berlino.
Il più grande riconoscimento della sua carriera arriverà però alla Mostra di Venezia del 1987, dove il suo "Campo Thiaroye" vinse il premio speciale della Giuria.
Nel 2000 inizia, con "Faat Kinè", un trittico sulla figura della donna in Africa; questo progetto prosegue con "Mooladé", opera molto amata sia dalla critica europea che da quella americana, che rimane il suo film più celebre e probabilmente il migliore.
Il terzo film del trittico, si doveva intitolare "La confrerie des rats", purtroppo non verrà mai realizzato.
Nei prossimi giorni, per omaggiarlo, pubblicheremo sul blog una recensione della sua ultima opera "Mooladé".