Blow-up: nella Swinging London anni '60, Antonioni gira il suo capolavoro metafisico

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Un giovane fotografo di moda scopre accidentalmente un omicidio mentre sta fotografando una coppia in un parco londinese; ma forse è tutto frutto della sua immaginazione.  Oppure no?

Così si potrebbe riassumere “Blow-up”, capolavoro sull’essere e il non essere, girato da Michelangelo Antonioni nel 1966.

Dopo la “trilogia sulla donna” (“L’avventura”, “La notte” e “L’eclisse”) e dopo l’incontro tra il regista e il colore in “Deserto rosso”, Antonioni firma un contratto con la Mgm per girare tre film in lingua inglese: il primo sarà proprio “Blow-up”, gli altri due saranno “Zabriskie Point”nel 1970 e “Professione reporter” nel 1976.

“Blow-up”, che ha fatto vincere al regista una Palma d’oro al Festival di Cannes e un Nastro d’argento come miglior film straniero, stupisce ancora oggi, a 40 anni dalla sua uscita, per le sue tematiche e per i suoi risvolti metafisici.

Il primo elemento da evidenziare è la “Swinging London” anni ’60, meravigliosamente mostrata da Antonioni, che incornicia il film dall’inizio alla fine.

La musica degli Yardbirds, il mondo della moda, i vestiti e le pettinature tipiche di quegli anni ci proiettano nell’universo della capitale inglese di quel periodo.

Antonioni ci mostra tutti gli aspetti più caratterizzanti di quello spazio e di quel tempo: le prime manifestazioni per la pace, i festini a base di droga, le bellissime donne che vanno dalla modella Veruschka alla futura diva Jane Birkin.

Questo mondo viene attraversato e ritratto dal fotografo Thomas, interpretato da un ottimo David Hemmings (dieci anni prima di “Profondo rosso”), assoluto protagonista del film.

Ed è proprio la fotografia il secondo elemento forte che salta subito all’occhio in “Blow-up”.

Thomas prima, in un momento di enorme foga, ritrae con la sua macchina Veruschka arrivando persino a mimare un rapporto sessuale in una delle più celebri sequenze del film; poi, nel silenzio del parco, ritrae una coppia che gioca in un prato, prima di scoprire che quella pace potrebbe nascondere un segreto inconfessabile.

“Blow-up” è, però, anche un film di Antonioni. E lo è pienamente.

I silenzi e le passeggiate solitarie del protagonista ci rimandano all’isola de “L’avventura” e alla solitudine di “Deserto rosso”. Oltre a questo è ben presente il tema dell’alienazione dell’uomo verso una società che non riesce a capirlo e che non capisce; Thomas si sente solo e ogni relazione umana sembra impossibile.

David Hemmings è molto più simile alla Monica Vitti de “L’eclisse” di quanto può sembrare a prima vista: al concerto lotta per un pezzo di chitarra che, una volta guadagnato, viene gettato via; mentre parla con Vanessa Redgrave mostra la sua difficoltà nei rapporti con la compagna Sarah Miles in un celebre monologo: “Io e lei siamo sposati…anzi no, abbiamo solo bambini. No, non è vero, non abbiamo neanche dei bambini… però con lei si sta bene…anzi no, si sta male”.

Infine, fondamentale è il tema della metafisica e del rapporto tra realtà e finzione, vero punto cardine del film.

Man mano che, per meglio capire, ingrandisce le fotografie del parco (blow-up, in questo caso, vuol dire proprio ingrandire le fotografie), meno riesce a soddisfare la propria curiosità. Più guarda da vicino e meno riesce a “vedere” ciò che ha davanti.

Antonioni sembra voler riflettere sull’alienazione che può nascere dalla fotografia, e, quindi, anche dal cinema, suo medium discendente.

Nella sequenza (registicamente) paradisiaca, in cui Thomas è solo in casa e sta contemplando le immagini, noi stessi (come lui) cerchiamo così ossessivamente qualcosa da riuscire addirittura a vederlo, anche se in realtà non c’è nulla.

Quella pistola e quel cadavere che il protagonista riesce a/si immagina di vedere non sono altro che una proiezione della nostra stessa volontà inconscia che cerca di soddisfare la  sempre più impellente curiosità di trovare qualcosa di strano in quelle immagini che, in realtà, non hanno nulla da nascondere.

Questa riflessione diventa ancora più profonda in uno dei più grandi finali della storia del cinema: la fantasia e l’immaginazione sono più forti della verità e riescono a superarla anche quando sembrano ormai sconfitti.

Antonioni, forse, vuole suggerirci che la sfida realismo-finzione finisce a vantaggio della prima solo nella vita di tutti i giorni, mentre nel cinema è la finzione a vincere e così rimarrà per sempre.

Ma, in fondo, potrebbe anche essere il contrario.  Potrebbe essere la vita stessa un sogno e viverla sarebbe come giocare una partita a tennis senza racchette e senza palle.

Chimy

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