Toy Story 3: la Pixar e il tempo

Sembrava che la favola della Pixar da quest’anno potesse iniziare leggermente a scricchiolare.
Dopo i meravigliosi Ratatouille, Wall-E e Up giungevano notizie non troppo confortanti dalla casa di John Lasseter. Non più nuove storie e personaggi, ma sequel di film del passato: Toy Story 3 nel 2010 e Cars 2 nel 2011.
In più per la prima volta, negli scorsi mesi, è stato cancellato un progetto sul quale i creatori Pixar avevano iniziato ampiamente a lavorare: Newt, con protagoniste delle salamandre, che sarebbe dovuto uscire il prossimo anno.
Sembrava che si potesse iniziare/tornare a parlare di semplici (?) buoni film, ma non più di opere grandiose come quelle proposte nelle scorse stagioni.
Naturalmente erano solo stupidi pregiudizi, perché la Pixar non ha certamente smesso di stupire facendo uscire il suo ultimo miracolo: Toy Story 3.
Già, un miracolo il film di Lee Unkrich, soprattutto perché risulta straordinario proprio negli elementi che più potevano preoccupare i fan della Pixar: le svolte narrative.
Da sempre gli artisti della casa di Lasseter dichiarano che l’elemento più importante è il soggetto, la storia, ancor prima delle tecniche digitali e (più in generale) formali.
Era difficile però aspettarsi che con il terzo episodio di una “saga” si potesse, narrativamente parlando, realizzare un’opera così importante.
Il film si apre con un bambino che sta giocando con i suoi pupazzi: quest’attività non è però vista dagli occhi dello stesso bambino, ma da quelli dei giocattoli che si trovano a dover interpretare una fantastica avventura creata dalla mente del loro “padrone”.
Un ennesimo ribaltamento narrativo come quello celebre del punto di vista dei mostri spaventatori e non più dei bambini spaventati in Monsters & Co.
Una sequenza spettacolare, l’incipit di Toy Story 3, che si conclude con la notizia (per noi spettatori) che quel bambino è cresciuto e sta per partire per il college. Che fine faranno allora i suoi vecchi giocattoli? Andranno nella pattumiera? In soffitta? O verranno donati all’asilo?
In mezzo a una miriade di citazioni alla storia del cinema Woody, Buzz e gli altri protagonisti riusciranno a emozionarci e a commuoverci, come ormai da tradizione per il marchio Pixar. Ed è sempre più difficile (impossibile ormai?) recensire un loro film, perché si finisce sempre a fare lodi sperticate identiche di anno in anno: forse bisognerebbe iniziare a non scriverne più e dire semplicemente che abbiamo visto un’opera Pixar e tanto basta. Superfluo aggiungere anche che il cortometraggio introduttivo Night and Day è una delle cose più belle viste sul grande schermo negli ultimi anni: geniale come il film che lo segue. Toy Story 3, probabilmente il primo grandissimo film dei secondi anni ’10 della storia del cinema.
Meno “evidente” di Wall-E e Up a livello di qualità formale (anche il 3d è molto semplice e funzionale), Toy Story 3 sviluppa anche profonde riflessioni sul senso del tempo che passa, sulla vita umana e sul ruolo da eterno ritorno nietzscheiano che i giocattoli possono svolgere.
E forse proprio Nietzsche è stato uno dei pensatori di riferimento per i creatori della Pixar per le sue riflessioni sul rapporto fra uomo e bambino e sulla necessità di ritrovare da adulti, nella vita e nel lavoro, la serietà che si metteva da piccoli nel giocare.
Perché per Nietzsche (come scrive E.Fink nel suo libro La filosofia di Nietzsche): «Il Gioco umano, il Gioco del bambino e dell’artista diventa un concetto chiave dell’universo e una metafora cosmica»: i film della Pixar allo stesso modo non sono semplici “giocattoli”, ma Giochi (con la g maiuscola) entrati ormai di diritto nelle vette cosmiche della settima arte.
 
 

Chimy
Voto Chimy: 3,5/4

 
 

 
Per la Pixar è il passare del tempo, in tutte le sue forme e con tutte le sue conseguenze, ad essere il principale fulcro tematico. Era successo in Wall-E, in Up e, nuovamente, in Toy Story 3, un sequel dove il tempo trascorso dal secondo episodio è letteralmente trascorso anche nella diegesi del film, con Andy pronto per il college e i suoi giocattoli pronti per la soffitta, l’asilo o la discarica.
Ma i giocattoli, per la Pixar, devono essere giocati, e per farlo c’è bisogno della fantasia. Ecco che l’incipit, un mescolone di generi e situazioni dettate dalla fantasia del bambino durante il gioco, s’interrompe con una sequenza di finte riprese familiari, che mostrano Andy e i suoi compagni di gioco crescere insieme. Un espediente, quello di realizzare finti filmati amatoriali, che ribadisce, ogni volta di più, come il cinema d’animazione cerchi, purtroppo e per fortuna, una dignità in forme ed espedienti tipici del cinema dal vero.
Ma Toy Story 3 è per la Pixar (e ogni volta è lecito ribadire come regista e sceneggiatore, da film a film, siano quasi ininfluenti, tanto sono coesi i film in termini di narrazione e regia) anche un film su come il tempo significhi abbandono, sofferenza, gioia, scoperta e soprattutto, come ci hanno insegnato Wall-E e Up, la responsabilità di lasciare un testimone alle nuove generazioni, a chi, dopo di noi, affronterà il passare del tempo altrimenti detto vita.
E ritorna, anche in Toy Story 3, quel continuo riferirsi al cinema, dove i giocattoli che custodiscono il tramite tra la fantasia del bimbo e la realtà del mondo sono un po’ come i film, e la Pixar ci dice che il cinema deve essere ricordato, guardato e giocato da ogni nuova generazione.
Era iniziata con il primo Toy Story la metafora tra cinema vecchio (fotografico) vs nuovo (digitale), il primo incarnato da Woody e il secondo da Buzz, continuata nel secondo e ribadita nel terzo, dove però non c’è più scontro ma totale armonia, come a voler dire, e la Pixar lo ha fatto con ogni suo film, che non conta più (o non è mai contato) il mezzo, ma quello che vuoi esprimere, ed esprimersi attraverso un piano sequenza enfatizzato dal 3d stereoscopico, oppure attraverso un semplice omaggio al cinema del passato, ha ugual valore, ciò che importa è mantenere un’onestà intellettuale.
E la Pixar, che ad ogni film spinge spettatori, critici o chiunque abbia del sale in zucca a lodare un così alto livello qualitativo, figlio del sistema cinematografico industriale, ma padre di perle della settima arte, non rinuncia mai ad aprire il cuore e gli occhi del pubblico attraverso il suo cortometraggio iniziale. E con Night & Day la Pixar supera se stessa, dove al tema del tempo, della convivenza e dell’uguaglianza, somma una sperimentazione visiva che va da La linea di Cavandoli alla tessitura audiovisiva, dalla profondità di campo stereoscopica al cinema di silohuettes. Ma al posto di lasciare il nero hanno lasciato, giustamente, la meravigliosa luce del Cinema.
 

Para
Voto Para: 3,5/4