"Luci d'Inverno": il silenzio di Dio, le parole dell'uomo.

Anime smarrite, avventori distratti e devoti credenti sviluppano nei confronti della casa del Signore un rapporto personale, ma sempre simile. La chiesa (l’edificio) è un pilastro, materiale e/o spirituale, di ogni comunità. Per molti è poi il luogo dove poter trovare il conforto umano di chi ha consacrato la propria vita alla fede, di chi può mostrare come e perché credere in un Dio che è al di fuori di ogni nostra percezione. La ricchezza umana che un sacerdote acquisisce è per molti un punto di riferimento indissolubile, perché è l’unico tramite fisico che l’uomo ha a disposizione per consolidare la propria fede verso l’immateriale.
In “Luci d’Inverno” Tomas è un pastore protestante (a cui è dunque “concesso” avere un rapporto di coppia) che ha perso la fede, ha perso dunque la possibilità di aiutare con sincerità chi crede nella sua figura. Non vuole più ostinarsi a credere nel silenzio, nel silenzio di un Dio che chiede ad ogni anima di credere nella propria intangibilità. L’amore è la prova dell’esistenza di Dio, ma la perdita del suo unico vero amore, sua moglie, è per Tomas la scomparsa di Dio, anzi, la prova della sua inesistenza.
Tomas però deve continuare la sua missione, deve continuare a dare Messa e deve continuare ad ascoltare e consolare i fedeli della sua comunità. Può essere considerato un falso, un bugiardo, ma è semplicemente un uomo.
Nella parte iniziale del film cinque persone, ma che sono sei, dato che una di loro è incinta, si inginocchiano attorno ad un settimo, il sacerdote, per partecipare al rito di comunione. Sono immobili, statuari, in attesa di ricevere il corpo ed il sangue di Cristo. Nella vita cercano Dio in una fisicità che non gli appartiene, apparendo più tristi e rassegnati di quanto fossero le sei figure scure de “Il Settimo Sigillo”, mentre danzano in fila dietro alla morte.
Tra questi sei “comunicandi” (traduzione del titolo originale della pellicola), si trova un padre di famiglia aspirante suicida, sua moglie incinta, un giovane uomo devoto alla ritualità della fede, un’anziana signora che ripone in Dio un’intensa e timorosa fede, e Marta, una donna atea innamorata del pastore. Ognuno di loro ripone in Tomas un’aspettativa altissima, certi che sia l’uomo adatto a rassicurare, se non risolvere, i propri dubbi. Il pastore però si sente definitivamente rassegnato, e non riuscirà ad impedire la morte del suicida, non riuscirà a dare alla moglie il conforto che le spetterebbe, e rifiuta bruscamente l’amore di Marta, anche dopo aver letto una sua lunga lettera di profonda confessione, che Bergman ci propone con un intenso primo piano dell’attrice mentre rivolgendosi agli spettatori recita ciò che il suo personaggio ha scritto.
La pellicola, quindi, si nutre e riversa intensità emotiva e concettuale con una forza rara, che acquista ancor più valore se rapportata al senso di mancanza che il personaggio di Tomas trasferisce. Ogni sua parola è vuota, perché fatta di silenzio, parola che si nutre del silenzio di Dio non per renderlo sostanza, ma per sottolinearne la vuota essenza.
“Luci d’Inverno” è un’opera semplice, imperfetta, ma è anche un capolavoro, perché nella sua imperfetta semplicità nasconde una complessità infinita, come il silenzio.

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Voto Para: 4/4