"Heaven knows that the answer, she’s don’t call in no-one, she’s the way, a sailing beautiful, she’s mine, for the one, and I loss a heavy tension, by temptation less it runs, but she don’t allah me, but I’m not there, I’m gone…".
Queste sono le parole del ritornello di "I’m Not There", splendida canzone di Bob Dylan del 1956, che dà il titolo al film.
Ed è proprio la colonna sonora (e non poteva essere altrimenti) uno degli elementi più importanti di questa straordinaria opera: la scelta del regista non è caduta sui pezzi più conosciuti di Bob Dylan, ma su quelli che meglio riescono a descrivere la sua vita unica e movimentata.
Il bravissimo Todd Haynes, con questo film, ha cercato di cogliere e far capire al pubblico (riuscendoci pienamente) quale sia la vera anima di Bob Dylan, o meglio le sue diverse anime.
Per questo l’autore di "Lontano dal paradiso" decide di far interpretare "il protagonista" a sei attori diversi, con diversi nomi che prendono spunto da sei personaggi realmente esistiti, tutti entrati nello spirito di Dylan, anche se ciascuno per una piccola parte della sua vita.
Dal menestrello girovago Woody Guthrie al poeta Arthur Rimbaud, dall’impegnato Jack Rollins all’insoddisfatto Jude, dall’attore di scarso successo Robbie al cowboy Billy (dal film di Peckinpah a cui Dylan prese parte).
Tutti quanti sembrano essere accomunati dal non sentirsi a casa in nessuna parte del mondo, dal non essere in nessun posto, neppure in quello in cui si trovano.
L’unico luogo che sembra avere un senso (o forse è quello che ne ha meno?) è la città di Enigma, dalla quale scappa il piccolo Woody in cerca di fortuna e alla quale ritorna il vecchio Billy alla fine dei suoi vagabondaggi.
Il momento più difficile e intenso della vita del magico menestrello è quello interpretato da Cate Blanchett, per la quale ogni premio e ogni parola sono superflui.
Il momento della festa in cui è sdraiata sul divano, l’incontro con il poeta beat Allen Ginsberg e (soprattutto) l’intenso sguardo in macchina sono attimi commoventi e già indimenticabili che la fanno entrare di diritto nella storia del cinema.
Una menzione doverosa per tutti gli altri bravissimi attori che sembrano scomparire di fronte a Cate (ma non è così): lo strepitoso Marcus Carl Franklin (altra ottima scelta di Haynes), il perfetto Ben Whishaw, i molto bravi Christian Bale ed Heath Ledger e, infine, un immenso Richard Gere che, ritrovatosi nel bel mezzo di una sorta di circo felliniano, vive uno dei momenti più alti della sua carriera.
Il regista li dirige al meglio e, contemporaneamente, riesce a realizzare una splendida opera d’arte dal punto di vista visivo (brividi lungo tutto il corpo durante "la sequenza della balena", per fare un es.).
Haynes costruisce, in questo modo, un’opera frammentaria e psichedelica nella sua messa in scena: sei diversi stili di regia, uno per ogni differente registro narrativo.
"Io non sono qui", uno dei film più belli dell’anno, ci parla davvero di tante cose.
E’ un film sul passare del tempo, lo spazio ha poca importanza. E’ un film sul divenire di uno dei più grandi geni del ‘900.
E’ un’opera sfuggente e indefinibile: non è un mockumentary (come qualcuno ha osato dire), non è un film sulla musica e nemmeno un film biografico. E’ semplicemente altissimo cinema.
Perchè? La risposta, questa volta non sta soffiando nel vento, soltanto il paradiso (forse) la conosce.
"Heaven knows that the answer…(…)…. but I’m not there, I’m gone…"
Voto Chimy: 3,5 / 4