Articolo già pubblicato su IlSole24Ore
Abitualmente il primo venerdì di dicembre segna l’arrivo nelle sale italiane dei primi film che si contenderanno il trono al box office del periodo natalizio.
Quest’anno invece bisognerà aspettare addirittura la terza settimana del mese per vedere dei titoli che potranno frenare la scalata di «Harry Potter e i doni della morte-Parte I» verso l’ennesimo record d’incassi.
In questo weekend interlocutorio, l’uscita più interessante (seppur non sia la più attesa) è «Nowhere Boy», pellicola sull’adolescenza di John Lennon, che arriva nei nostri cinema esattamente a un anno di distanza dalla presentazione al festival di Torino del 2009, dove venne scelto come film d’apertura.
Diretto dall’esordiente londinese Sam Taylor-Wood, «Nowhere Boy» si concentra sui rapporti fra Lennon e la sua famiglia, sul primo incontro con Paul McCartney e (soprattutto) sulla nascita della passione per la musica. Lo vediamo emozionarsi ascoltando le note di Elvis Preasley e Little Richard: siamo alla fine degli anni ’50, periodo il cui il rock’n’roll americano impazza sui giradischi inglesi.
Il tempo del pop e della british invasion, di cui Lennon sarà naturalmente grande protagonista, deve ancora arrivare.
Prima di entrare nel mondo del cinema la Taylor-Wood è stata una nota artista concettuale e il suo tocco sperimentale si nota soprattutto nelle sequenze più oniriche, tese a rappresentare i sogni e i ricordi d’infanzia del protagonista: in particolare l’uso del ralenti contrapposto a bruschi stacchi di montaggio rimanda alle tendenze della video-arte degli anni ’90, che la regista conosce certamente molto bene.
A differenza di queste, le sequenze più tradizionali alternano momenti riusciti e toccanti ad altri che rischiano di sfiorare il patetico.
Incerta sulla regia (ma si può perdonare a un’esordiente) Sam Taylor-Wood si appoggia moltissimo a delle ottime performance attoriali, fra le quali svetta una bravissima Kristin Scott Thomas nella parte della zia Mimi.
Sarà proprio a lei che John Lennon (interpretato da un più che dignitoso Aaron Johnson) annuncerà, verso le battute conclusive di «Nowhere Boy», la sua immediata partenza per Amburgo: un viaggio che diventerà fondamentale nella successiva maturazione dei Beatles.
Lo vediamo allora allontanarsi commosso dalla casa in cui è cresciuto e, mentre risuonano le note di «Mother», guardarsi indietro un’ultima volta prima di imboccare quella strada che da ragazzo qualunque lo farà diventare il «Nowhere Man» che tutto il mondo ha conosciuto.
Meno toccante di «Nowhere Boy» è invece «Il responsabile delle risorse umane», film (che verrà distribuito in Italia dalla Sacher di Nanni Moretti) privo di retorica e dai contenuti importanti, diretto da Eran Riklis.
L’autore israeliano disegna un personaggio principale di notevole spessore, che difficilmente potrà essere dimenticato nelle settimane successive alla visione.
L’attore Mark Ivanir, bravo a interpretare un ruolo così complesso, è il responsabile delle risorse umane di un grande panificio a Gerusalemme, che viene accusato da un giornalista d’assalto di non essersi interessato alla morte di una sua ex dipendente straniera rimasta uccisa in un attentato terroristico.
Dato che nessun parente ha reclamato il corpo della donna, il manager, stravolto dal senso di colpa, decide di intraprendere un lungo viaggio alla ricerca di qualcuno che possa riconoscerne il cadavere. Distante da casa e dalla sua famiglia, con la quale sta passando un periodo particolarmente delicato, troverà il modo di riflettere su se stesso e sul suo passato.
Tratto dal romanzo di Abraham B.Yeoshua, «Il responsabile delle risorse umane» si regge unicamente sul personaggio principale. Manca una caratterizzazione significativa delle figure di contorno, che avrebbe reso questa pellicola ancor più interessante.
Il bravo regista Eran Riklis dirige senza cali, ma anche senza particolari guizzi artistici: non vi sono sequenze che rimangono nella memoria più di altre.
Manca quel tocco poetico e delicato che aveva contraddistinto il suo precedente film «Il giardino di limoni».
In questo weekend privo di titoli importanti, ce n’è uno che risalta ma in senso negativo: «Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni», una delle opere meno riuscite dell’intera lunga carriera di Woody Allen.
Tradimenti, separazioni, amori che nascono e altri che finiscono si mescolano in questa commedia corale in cui diventa davvero complesso trovare delle note di merito.
La classica voce narrante delle pellicole di Woody Allen non basta, in questo caso, come escamotage narrativo per rendere più fluida una sceneggiatura tanto contorta e superficiale da risultare (anche a causa di dialoghi di bassissimo livello) a tratti davvero imbarazzante.
Un cast sottotono sprofonda insieme al film col passare dei minuti: in particolare Naomi Watts e Anthony Hopkins sono decisamente sotto il loro standard abituale.
Nella traduzione italiana del titolo si smarrisce anche il doppio senso dell’originale: «You Will Meet a Tall Dark Stranger» che si riferisce sia allo “sconosciuto alto e bruno” evocato da una chiromante, sia alla morte.
Nemmeno un’iniziale (usata in maniera retorica e ricattatoria) citazione di Shakespeare, ripresa naturalmente nei minuti conclusivi, aiuterà a rendere più digeribile al pubblico una pellicola così difficilmente sopportabile.
Chimy
Voti Chimy:
Nowhere Boy: 2,5/4
Il responsabile delle risorse umane: 2,5/4
Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni: 1,5/4