Le tre scimmie: non vedo, non sento, non parlo…

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A volte, in certe pellicole, ci capita di vedere particolari che, al di la di ogni previsione del regista, accadono liberamente. A volte, questi avvenimenti, non costringono la troupe a ripetere il ciack ma, anzi, “benedicono” la pellicola. In Le tre scimmie, in particolare, si trovano queste “benedizioni” soprattutto legate alle nuvole. Durante alcune delle lunghe inquadrature fisse che compongono il film, infatti, le nuvole sembrano seguirne la dinamica.

Queste benedizioni che la fortuna ha deciso di dare a Le tre scimmie sono un tassello, piccolo ma sorprendente, che nonostante possa essere inserito nell’ambito della messa in scena (il pro filmico), in qualche modo arricchiscono quello che è il pregio del film: la messa in quadro (il filmico). Questo non significa che la messa in scena sia poco importante (gli attori sono bravi e gli ambienti azzeccati), ma semplicemente che senza una messa in quadro di così alto livello, forse tutto il film avrebbe avuto poco senso.

Durante la visione, infatti, nei minuti che seguono il bellissimo incipit, ci si chiede se ci possa essere davvero il bisogno di realizzare un film con un plot del genere in questa maniera, cioè con lunghe inquadrature fisse, con pochissima azione e molta sospensione. In realtà, dopo poco tempo, quando si inizia ad osservare attentamente, cosa che si è portati a fare necessariamente, dato l’immobilismo, si comincia anche a capire che non ci si trova davanti a semplici inquadrature fisse, in quanto dietro di esse c’è uno studio della messa in quadro davvero sorprendente. E dico messa in quadro perché non è solo questione di inquadratura, ma anche di fotografia, di illuminazione extradiegetica e, cosa assai rara, di un uso della messa a fuoco realmente significativo.

Presto ci si rende conto di come la linea narrativa del film sia un pretesto, marginale, per portare sullo schermo una famiglia distrutta, e non, come si potrebbe pensare, alla distruzione di una famiglia.

Servet, aspirante politico, per salvare la propria reputazione convince il suo autista, Eyup, a prendersi la colpa di un omicidio non intenzionale (investe un uomo in auto), in cambio di una lauta ricompensa. La moglie di Eyup, Hacer, diventa l’amante di Servet, ma il figlio Ismail la scopre, accumulando rancore. In realtà, di questa linea narrativa, resta ben poco: non sappiamo quasi nulla di Servet, e non sappiamo niente del carcere di Eyup. Quello che resta allo spettatore è una serie di  particolari accennati e mai sviluppati, un po’ come il plot, che compongono la (non) vita sociale della famiglia (come comunità) e dei suoi tre componenti. Il regista, Nuri Bilge Ceylan, cerca infatti di svelarci la natura umana dei personaggi scartando l’azione e sottolineando solo quello che succede dopo e prima l’azione.

Per farlo sceglie l’HD, e si mette a giocare con il fuoco. Gira alcune sequenze con solo certi elementi a fuoco, oppure in alcuni casi tenendo tutto leggermente fuori fuoco. Lo scarto tra il nitido dell’HD e il voluto non nitido del fuori fuoco è visitato in tutte le sue graduazioni. Inoltre, forse grazie alla maestria del direttore della fotografia Gökhan Tiryaki, la scelta cromatica è sempre perfetta, e varia a seconda delle situazioni. Davvero sorprendente, quindi, il lavoro svolto dal digitale, nettamente superiore anche a il recente L’autre, che stupiva appunto per l’uso dell’HD.

Di particolare rilievo due sequenze, in cui un bambino appare come un fantasma, e nel suo apparire, il film scorre indietro per alcuni secondi. Durante una di queste, una goccia di sudore di Ismail, che scendeva sulla sua fronte, comincia a risalire. Quel bambino è suo fratello, deceduto da piccolo, che apparendo porta indietro il tempo (dei ricordi) e si mostra come la vera causa della distruzione della sua famiglia. Il nucleo familiare, forse, era già morto insieme a lui.

Quella goccia di sudore, così come la pioggia che comincia a cadere nell’ultima inquadratura del film, è, forse, un’altra delle benedizioni di cui si parlava.

Para

 

Voto Para: 3 / 4


 

Ricollegandomi alla recensione del Para (che mi trova completamente d’accordo su ogni singola sillaba usata, forse come mai prima), confermo che durante la visione viene qualche dubbio sul valore del film.
Molti hanno parlato di arroganza (troppo) autoriale del regista e, durante la prima mezz’ora, potrebbe sembrare forse che non sia stato detto a torto.
In realtà i dubbi svaniscono quando si ragiona sulla ricerca formale, enorme, compiuta dal regista turco Ceylan con questo film.
Si può davvero parlare di arroganza per un’opera nella quale ogni singolo fotogramma nasconde uno studio profondissimo sulla natura dell’immagine, sulla luce, sul colore? No, se fatta a questo livello.
Le tre scimmie è un’opera nella quale si entra pian piano; ma nella quale si sa anche benissimo che si pronta ad essere "trasportati" da un momento all’altro. C’è soltanto da aspettare la scena giusta.
Sembra strana anche la sensazione che Le tre scimmie abbia vinto a Cannes il premio per la miglior regia e il pensare che tale riconoscimento non sia stato regalato, anzi, nonostante ci fossero opere superiori anche a livello registico come i "nostri" Gomorra e Il divo.
In un film che fa dell’uso della luce il suo (immenso) punto di forza, non potevano che essere le ombre le vere protagoniste della pellicola.
L’ombra dello schermo che sembra squarciarsi con l’arrivo della luce dei fari della macchina nel magnifico incipit; l’ombra del rimorso; l’ombra dell’assenza di comunicazione; l’ombra dell’omertà di cui le tre scimmie sono la metafora; l’ombra di un figlio (e fratello) morto che non vuole staccarsi dalla sua famiglia.
In questo senso, diventa memorabile la più bella scena del film che coincide con la prima apparizione del "fantasma" (così già ben raccontata dal Para): un’ombra si avvicina al letto dove è sdraiato Ismail, un’ombra fuori fuoco che sembra un alieno vagante in un pianeta sperduto di morte, che si rivela essere invece la sua casa passata di vita. Alcuni riflessi (di luce? di buio?) di cinema tarkovskijano.

Chimy

Voto Chimy: 3 / 4