Top 10 2013 di Chimy: in vetta una toccante storia d’amore firmata Kechiche

Articolo già pubblicato su IlSole24Ore

Immagine

L’anno solare volge al termine e per gli appassionati è tempo di classifiche: tra le tante, dagli album musicali ai libri, non può mancare una graduatoria dei migliori film usciti nel corso del 2013.
Nella speranza di far discutere, sorprendere e persino polemizzare, ecco la nostra top 10 delle pellicole proposte nelle sale italiane da inizio gennaio a fine dicembre:

«La vita di Adele» di Abdellatif KechicheIl film dell’anno è ispirato alla graphic novel «Il blu è un colore caldo» di Julie Maroh e ha come protagoniste Adèle, un’adolescente come tante, ed Emma, una ragazza dai capelli blu di diversi anni più grande di lei incrociata casualmente per strada. Qualche tempo dopo, le due si rincontreranno e inizieranno un’intensa relazione.

Vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2013, «La vita di Adele» è un film semplicemente indimenticabile, coinvolgente, emozionante e costruito con grande cura formale. Abdellatif Kechiche si conferma uno dei talenti più cristallini del cinema contemporaneo: lavora magnificamente sulla luce e costruisce una pellicola vitale, pulsante e in grado di lasciare senza fiato dal primo all’ultimo minuto. Una grande esperienza cinematografica, valorizzata ancor di più da due attrici in stato di grazia: Adèle Exarchopoulos (Adèle) e Léa Seydoux (Emma).

 

«La grande bellezza» di Paolo SorrentinoAmatissimo dalla critica internazionale e nominato ai Golden Globe, «La grande bellezza» conferma Paolo Sorrentino come uno dei massimi autori in circolazione.

Aperto da una citazione di «Viaggio al termine della notte» di Céline, il film racconta la vita di Jep Gambardella, un giornalista di successo (interpretato da uno strepitoso Toni Servillo) impegnato a districarsi tra le feste più eleganti della Roma contemporanea.

Dopo il capolavoro «Il divo» e il sottovalutato «This Must Be the Place», Sorrentino fa de «La grande bellezza» uno straordinario concerto audiovisivo dove suoni e immagini danzano in perfetta armonia. Si può definire un seguito ideale de «La dolce vita» di Federico Fellini: il sacro e il profano continuano a mescolarsi, ma ora ogni illusione sembra definitivamente perduta, i mostri marini sono scomparsi e non rimangono che semplici trucchi magici.

 

«Confessions» di Tetsuya NakashimaUscito nelle nostre sale con ben tre anni di ritardo rispetto alle sue prime apparizioni nei festival, «Confessions» è uno struggente e inquietante lungometraggio ambientato in una scuola media giapponese. Un’insegnante annuncia alla classe la sua intenzione di ritirarsi dall’attività: durante il discorso spiega di come sia venuta a conoscenza che due studenti di quella sezione sono gli assassini della sua unica figlia, Manami.

Pellicola nipponica tra le più importanti del nuovo millennio, «Confessions» è un prodotto audace e coraggioso che non può lasciare indifferenti. L’esperto Tetsuya Nakashima costruisce una vera e propria lezione di regia grazie al suo stile elegante e raffinato. Nella colonna sonora è presente «Last Flowers» dei Radiohead.

 

«Holy Motors» di Leos CaraxUn bizzarro attore di nome Monsieur Oscar viene chiamato a interpretare diversi personaggi nell’arco di una sola giornata. La limousine, con la quale si sposta tra i vari”set”, è il suo camerino e l’unico luogo dove, tra un travestimento e l’altro, può ritrovare se stesso. Aperto non a caso dalle cronofotografie degli atleti di E.J.Marey, uno dei più importanti precursori della settima arte, «Holy Motors» è una profonda riflessione sul ruolo dell’attore, sui rapporti realtà-finzione e, in generale, sul mondo del grande schermo. Leos Carax ci guida lungo un grande viaggio nella storia del cinema, dove ogni tappa è il tassello di un ricco mosaico che si compone rappresentando contraddizioni, ipocrisie e crisi d’identità del mondo contemporaneo. Stupefacente Denis Lavant, protagonista di un vero e proprio tour de force attoriale.

 

«Zero Dark Thirty» di Kathryn BigelowLa decennale caccia a Osama Bin Laden raccontata da Kathryn Bigelow: dopo aver trionfato agli Oscar 2010 con «The Hurt Locker», la regista statunitense realizza una pellicola ancor più importante per raccontare la storia recente del suo paese.

«Zero Dark Thirty» ha per protagonista l’intensa Jessica Chastain, nei panni di un agente che rappresenta simbolicamente l’intera nazione americana: una volta trovato e ucciso Bin Laden resta un forte vuoto esistenziale e ricomincia la ricerca di nuovi capri espiatori, capaci di dare una risposta a quel senso di smarrimento che gli Stati Uniti non riescono  a superare. Memorabile la mezz’ora conclusiva, notturna e ad altissima tensione.

«Venere in pelliccia» di Roman PolanskiIspirato alla pièce di David Ives, «Venere in pelliccia» ha due soli personaggi in scena: il drammaturgo Thomas (Mathieu Amalric), sfinito e in preda allo sconforto dopo una lunga giornata di audizioni andate male, e l’attrice Vanda (Emmanuelle Seigner), arrivata in ritardo al provino e convinta di essere la più adatta a interpretare il ruolo principale.

Dopo lo splendido «Carnage», Polanski dimostra di essere ancora uno dei più importanti registi in circolazione: con «Venere in pelliccia» orchestra una competizione sadica, una gara di seduzione e di bravura tra i due protagonisti. Il regista trasforma Amalric in se stesso (rendendolo simile a lui in tutto e per tutto) e inizia così a “scontrarsi” con la moglie in una stuzzicante sfida erotica in cui il teatro prende vita e la vita diventa (grande) cinema.

 

«The Act of Killing» di Joshua Oppenheimer – Il documentario più importante dell’anno è l’opera seconda di Joshua Oppenheimer, in cui viene raccontata una della pagine più violente del secolo scorso: in Indonesia, nel 1965, si arrivò a un colpo di stato e alla nascita di un governo militare che portò alla morte di centinaia di migliaia di persone considerate “filocomuniste” o legate all’ex presidente Sukarno. In «The Act of Killing» il racconto di quel periodo è affidato a uno dei massimi carnefici del tempo che, vantandosi, ricostruisce quegli omicidi come se fossero parte di una qualsiasi pellicola di finzione.

Davvero ottimo il lavoro di Joshua Oppenheimer che ha diretto un’opera in grado di scavare con profondità negli abissi del male e della sua follia. Il risultato è un documentario imperdibile, non adatto ai deboli di stomaco.

 

«The Master» di Paul Thomas Anderson – Accompagnato fin dalla pre-produzione da forti polemiche a causa degli evidenti rimandi alla nascita di Scientology, il film, ambientato a cavallo tra la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni ’50, racconta del particolare rapporto tra Freddie Quell, un vagabondo alcolista reduce di guerra, e Lancaster Dodd, uno scrittore-filosofo-scienziato (come si definisce lui stesso) a capo di una particolare setta religiosa.

Se nel precedente «Il petroliere», Paul Thomas Anderson analizzava similitudini e differenze tra il capitalismo e la nascita delle chiese evangeliche, in «The Master» lo scontro è tra una mente fragile e una forte, tra un personaggio disperato e uno sicuro di sé.
Grazie anche una messinscena maestosa, Anderson riesce nuovamente a scavare con forza sotto le ferite di quel “sogno americano” che per realizzarsi non può rinunciare ad alcuni compromessi.

Da pelle d’oca i duetti verbali tra i due protagonisti, Joaquin Phoenix (Freddie) e Philip Seymour Hoffman (Lancaster Dodd).

 

«Philomena» di Stephen Frears – Vincitore del premio per la miglior sceneggiatura alla Mostra di Venezia 2013, «Philomena» è ispirato alla vera storia di Philomena Lee, un’anziana donna irlandese costretta, in giovane età, ad abbandonare suo figlio. Dopo diversi decenni decide di cercarlo facendosi aiutare da un giornalista. L’unico film dell’anno in grado di emozionare, commuovere e divertire al tempo stesso, grazie all’ottima sceneggiatura, alla solida regia di Stephen Frears e ai due straordinari protagonisti, Judi Dench e Steve Coogan.

 

«Le streghe di Salem» di Rob ZombieAmbientato ai giorni nostri a Salem, città resa famosa da uno storico processo alle streghe del 1692, l’ultimo film di Rob Zombie è incentrato attorno a Heidi, una dj appassionata di musica rock e metal che lavora per un’emittente radiofonica locale. Un giorno le viene recapitato un misterioso disco in vinile spedito dai “lords” che la porterà a scoprire un mondo che si credeva sepolto per sempre.

Attraverso una regia maestosa nel suo ostentato barocchismo, Zombie costruisce con «Le streghe di Salem» un film stupefacente, un vero e proprio viaggio negli abissi della mente umana che si concluderà con una lunga serie di immagini surreali e sublimi. Una folgorazione per qualsiasi fan del genere horror, e forse non solo.