"Un bacio romantico": con lentezza rallentata è giunto il momento di rallentare insieme a Wong Kar Wai

Essere un buon regista significa anche capire gli altri, capire il tuo pubblico e dargli ciò che vuole. Wong Kar-Wai, con “Un bacio romantico” da agli spettatori ciò che (crede) vogliano: i ralenty. Il film è infatti (quasi) tutto al rallentatore.
Wong Kar-Wai, approdando negli States, confeziona inoltre un film straripante di tutti gli stereotipi possibili ed immaginabili di (quasi) tutto il cinema nord americano: diner cafè, torte e gelato per consolarsi, Las Vegas, casinò, poliziotti alcolisti, mogli infedeli e nevrotiche, storie d’amore ovunque, rapporti padre figlia. Il tutto inserito nel più classico dei road movie, dove però, in questo caso, partenza ed arrivo coincidono con lo stesso Jude Law e la stessa torta al mirtillo con gelato alla crema. Elizabeth (una sorprendente Norah Jones), infatti, si ritrova nell’affollato ma accogliente diner cafè di Jeremy (Jude Law), per affogare negli zuccheri il dispiacere di aver rotto con il fidanzato. Qui conosce Jeremy e quando sembra innamorarsi di lui (e lui di lei) ha la bella idea di farsi il suo coast to coast per maturare e capire davvero cosa vuole. “Un bacio romantico” è quindi la storia rallentata di tutti gli stereotipi del cinema americano.
La parte iniziale, girata interamente nel diner cafè, è splendida: lo svolgersi degli eventi è magnificamente narrato da un Wong Kar-Wai in forma smagliante, dove l’ossessione per gli “oggetti” (chiavi e torte al mirtillo) è funzionale ed indispensabile. Quando però Elizabeth lascia Jeremy i veri limiti del film saltano a galla. I ralenty aumentano in maniera esponenziale, diventando sempre più eccessivi, e la sceneggiatura si mostra lacunosa, in quanto è un continuo reiterare sullo stesso concetto: ovunque c’è una delusione c’è anche speranza.
La cosa più sconcertante è che di fronte a questi difetti innegabili il film funziona davvero. E’ impossibile premiarlo od elogiarlo, ma è anche impossibile odiarlo. E’ una sensazione strana quella che si può provare vedendo questo film: è constatare i difetti “tecnici” senza che questi annullino il piacere di fruirli. Per questo promuovo il film, ma senza negare od attribuire meriti infondati a difetti che sono palesi e che vanno presi in considerazione.
E se qualcuno vi dice che la parte con Natalie Portman, giocatrice d’azzardo, è inutile e la peggiore del film, voi rispondete: «Certo, ma c’è pur sempre Natalie Portman».
“Le mie notti mirtillose” (trad. di Honeyboy) è dunque un felice passatempo, consigliabile soltanto a chi voglia rallentare insieme a Wong per un’ora e mezza (avendo il coraggio di affrontare tutti i difetti sopracitati).

Para

Voto Para: 3/4

 


Wong Kar Wai è, quello che si può definire, un regista di tempo e spazio.

La prima caratteristica è certamente la più semplice e visibile da riscontrare, in particolare per il costante uso del ralenty di cui si parlerà più avanti.

La seconda, lo spazio, è però in realtà, nel suo cinema, altrettanto importante come la prima.

Chi ha amato "In the Mood for Love" non può non essersi reso conto dell’importanza fondamentale che ha la città di Honk Kong all’interno della pellicola e, nello specifico, di quel vialetto notturno dove si incontrano i due splendidi protagonisti; in "2046" la funzione spaziale risalta subito agli occhi: ancora quella stanza, ancora quelle strade, ma anche un futuro completamente diverso per colori e ambientazioni.

Andiamo però un pò indietro, pensate ad "Honk Kong Express"… che immagine vi balza subito agli occhi? A me sicuramente, ma credo anche a voi, la bella protagonista dietro il bancone dello snack bar che osserva Tony Leung. Come nei film precedenti, questo è un luogo perfettamente circoscritto, riconoscibile e definito. Anche in "2046", anche se pensiamo alle immagini "diverse" del futuro, ci viene in mente una stanza-corridoio dove si incontrano i due personaggi.

Queste riflessioni, a mio parere, si collegano perfettamente ad "Un bacio romantico".

I primi 20 (circa) minuti del film sono splendidi, ambientati ad una tavola calda, con i due protagonisti che iniziano a conoscersi. Ancora una volta un luogo chiuso, circoscritto, conosciuto, dove Wong si trova magnificamente a suo agio e dove ci regala dei momenti di altissimo cinema.

Poi Elizabeth esce, parte per un viaggio on the road attraverso l’America.
Da qui iniziano i problemi del film, e della regia di Wong, che si perde insieme ad Elizabeth fra le strade dell’ovest.

Sembra quasi che Wong, uscendo dall’universo conosciuto dello spazio circoscritto, non sappia più bene cosa fare, come muovere la macchina da presa e come usare i suoi celebri ralenty.
Wong perde il contatto con la sua autorialità, al di fuori dello spazio amico, e cerca di rimediare forzando a dismisura l’aspetto temporale.

L’uso del ralenty che aveva un senso straordinario (solo per fare un es.) in "In the Mood for Love", qui arriva a toccare l’assurdo venendo usato continuamente e perdendo così ogni capacità di differenziare e marcare le diverse fasi del tempo filmico.

Andando più in superficie questo film ha anche grossi problemi nella sceneggiatura, con momenti e personaggi assolutamente inutili, come quello di un David Strathairn di passaggio nell’universo Wonghiano.

Norah Jones è una bella ragazza, canta molto bene, è simpatica, è al suo primo ruolo d’attrice ma non per questo va per forza difesa dato che non regge assolutamente la situazione.

Per concludere, si è tanto parlato del bacio finale del film, che dà anche lo spunto all’insopportabile titolo italiano. Un bacio freddo e distaccato, a discapito del modo in cui viene dato, che non riesce ad emozionare e rimane distante dallo spettatore, così come tutto il film.

Decisamente superiore, e non pensate che sia una considerazione frivola e di poco conto, era quello, quasi analogo, dato da Spider Man alla sua Mary Jane nel film di Sam Raimi.


Chimy

Voto Chimy: 2,5/4