Bastardi senza gloria: il vero bastardo è il cinema di Tarantino.

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Ha cercato di fare il suo capolavoro assoluto Quentin Tarantino, ce lo annuncia ben due volte nel corso di Bastardi senza gloria (già una era troppa), ma senza riuscirci (forse) per poco.

C’era una volta…nella Francia occupata dai nazisti: questo è il titolo dell’eccelso primo capitolo del film, vetta dell’opera e in assoluto fra i momenti più importanti di tutto la filmografia tarantiniana e, più in generale, del cinema degli ultimi anni.

Il respiro del western si fa vivo, tangibile, udibile, trasportato da motociclette tedesche che si sostituiscono ai cavalli americani; nella Francia del 1944 la minaccia non è più lo sputo di Henry Fonda, ora vi è la pipa di Christoph Waltz.

Il respiro del western esce poi leggero al termine del capitolo, soffiato fuori dalla luce di una porta che ci inoltra nei sentieri selvaggi che dovrà attraversare la giovane ragazza ebrea sfuggita alla carneficina; speranzosa che forse prima o poi Ethan Edwards arriverà a salvare anche lei.

Il mescolamento dei generi, i cambi di registro, sono ancora oggetto di importantissime riflessioni per Tarantino; anche se si è attenti a fare un “pasticcio” per palati più fini e delicati rispetto al sublime minestrone, che tutto ingoia e tutto fa ingoiare, di Kill Bill.

Non possono mancare i riferimenti alla storia del cinema, le citazioni e gli omaggi dove fondamentale è soprattutto il Vogliamo vivere! di Ernst Lubitsch, per un film dove è il cinema stesso a vincere, cambiando la Storia.

Non solo cinema di guerra, non solo western, ma anche (come ha sottolineato anche il ConteNebbia) la commedia sofisticata degli anni ’30 con i suoi dialoghi lunghi e taglienti: ed è forse qui che sta uno dei (pochi) difetti del film.

Dialoghi che a volte risultano eccessivamente piatti, tolgono dinamicità alla narrazione (e all’azione) allungando forse troppo la durata della pellicola. Se magnifiche sono le conversazioni nella locanda, in altri momenti (il dialogo al ristorante fra Shosanna e Landa o fra quest’ultimo e Raine prima dell’esplosione finale, ad esempio) manca quell’uso “magnetico” della parola spontanea che era molto presente in Grindhouse-A prova di morte. Questo cambiamento nello stile dei “tempi” filmici del regista ci mostra però anche come Tarantino abbia sempre il coraggio di rinnovarsi, di cambiare il suo cinema risultando sempre incisivo ad ogni pellicola (pochi film fatti, ma tutti assolutamente degni).

Come l’inizio, straordinario è poi il finale dove il volto gigante dello schermo che brucia ingoia Hitler, la guerra e la Storia stessa; dimostrandoci ancora una volta come Tarantino sappia e abbia capito da tempo che il Cinema è l’arte cannibalica per eccellenza.

 

Chimy

Voto Chimy: 3/4

 

 

Non facile proseguire il discorso dopo la bellissima recensione del Chimy. Indi per cui non lo farò: scriverei o una sottospecie di analisi o quello che, più o meno, è stato detto da molti altri cinebloggers.

Il motivo principale di questa scelta, però, è che oggi ho purtroppo letto una cosa che mi condizionerebbe, e finirei per ripetere molti dei concetti lì espressi. Questa cosa è l’osservazione/analisi di David Bordwell su Inglorius Basterds. Prendete e leggetene tutti. Per una volta lasciamo le considerazioni agli altri e parliamo solo in stellette (3,5) e in aggettivi: bellissimo, esaltante, veloce (Tarantino si riconferma un orologiaio Svizzero, ritmo precisissimo e senza mai un calo).

Unica considerazione: Tarantino brucia il cinema non da dentro ma da dietro. Arrogante, ci dice di aver fatto un capolavoro e ancor più arrogante brucia, letteralmente, vecchie pellicole per farle rivivere nuove, nel suo cinema. Brucia il cinema ma il cinema non muore, continua, proiettato anche sul fumo che lo stesso cinema alimenta bruciando. Cinema Immortale.

Para

Voto Para: 3,5/4