Il mio vicino Totoro: To to to totoro!

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La recensione del Para de Il mio vicino Totoro è qui, su Paperstreet!

Ponyo sulla scogliera: stupore e meraviglia di fronte a Miyazaki

<<Oppresso di stupore, a la mia Guida mi volsi>>

Dante – Paradiso, canto XXII

Secondo la tradizione della critica artistica, fra i poteri dell’opera d’arte vi è una scala di emozioni che possono essere suscitate in chi guarda.
Il grado più alto di effetto sul pubblico era la capacità dell’artista di creare una sorta di particolare sgomento a chi si trovava a contemplare la sua opera.
Questo sgomento si collega a due caratteristiche più facilmente identificabili: la meraviglia e lo stupore.
Giorgio Vasari quando scrisse di quella che per lui era la più grande opera mai realizzata, cioè il Giudizio Universale di Michelangelo, non si concentrò eccessivamente sul cercare di descrivere quello che si trovava davanti, su quei colori, su quelle figure straordinarie; ma aprì il suo discorso dicendo che quando quest’opera venne scoperta (nel senso di mostrata al pubblico), nel Natale del 1541, ci fu "meraviglia in tutto il mondo".
Il concetto di stupore diviene però ancora più efficace in relazione al film e al regista protagonisti di questa recensione. Lo stupore è infatti una sensazione di meraviglia e sorpresa talmente forte da togliere quasi la capacità di parlare e di agire.
Non siamo distanti da questa forma immobilizzante di stupore di fronte alla nuova meraviglia di Hayao Miyazaki intitolata Ponyo sulla scogliera.
Ancora una volta di fronte a un film del più grande regista giapponese vivente diviene (come hanno già ricordato tanti cari amici nelle loro recensioni in giro per la rete) quasi impossibile scrivere, parlarne, poichè la parola non può ricreare il valore e, ancor di più, il potere di quelle immagini che ci sono appena passate davanti agli occhi sullo schermo. E con Ponyo sulla scogliera le cose diventano ancora più complicate che con i film precedenti di Miyazaki: se con la Principessa Mononoke potevamo parlare ampiamente del messaggio ambientalista straordinario, se con La città incantata potevamo descrivere la perfezione stilistica raggiunta dallo studio Ghibli, o ancora se con Il castello errante di Howl potevamo parlare della perfetta struttura narrativa; con Ponyo sulla scogliera diviene impossibile appoggiarsi ad un giudizio così concreto, poichè li contiene tutti.
Ponyo sulla scogliera sembra in apparenza più semplice dei tre film precedenti nelle tre categorie descritte; ma al tempo stesso ne è una summa poichè li contiene tutti.
Il messaggio ambientalista non può che farci nuovamente ragionare su quanto stiamo facendo al mondo, molto più che qualsiasi documentario possa fare; lo stile di Miyazaki tocca forse il suo apice nelle straordinarie immagini sottomarine e nell’arrivo dello "Tsunami"; la struttura narrativa è semplice ed efficacissima, riesce a commuovere proprio per la sua purezza di fondo e per la rappresentazione autentica di valori e sentimenti che sembrano sempre più scomparsi.
Miyazaki risponde alle rivoluzioni 3d (e non solo) in atto e riutilizzando la magia dei pastelli, la freschezza degli acquerelli, donandoci una galleria di disegni che raramente si vanno a trovare nei grandi musei d’arte.
Non si può che rimanere a bocca aperta davanti al castello marino del padre di Ponyo o di fronte all’arrivo della madre; non si può che rimanere immobilizzati davanti alla corsa in automobile per tornare a casa mentre le onde del mare diventano pesci giganteschi o di fronte alla danza delle meduse che apre il film.
Immagini che creano una forma di meraviglia e di stupore nel pubblico che nessuna tecnologia digitale potrà mai ricreare.

Chimy

Voto Chimy: 3,5/4

Voto Para: 3,5/4

Mostra di Venezia 2008: terzo resoconto

Plastic City di Yu Lik-Wai

Para: mafia cinese a San Paolo in Brasile, con uno dei protagonisti giapponese (Joe Odaghiri). Quando parlano brasiliano, o cinese, gli attori doppiano loro stessi andando visibilmente fuori sincorno. Al di la di questo il film ha qualcosa di buono, ma troppo di brutto: intermezzi stile video clip, un duello con katana sopra un pilone di cemento armato, intermezzi di paesaggi con colori saturi, e una deriva finale onirica nella giungla con corto circuito spazio temporale. Troppa carne al fuoco messa in scena male.

Ponyo on a Cliff by the Sea di Hayao Miyazaki

Chimy: Meraviglia delle meraviglie. Uno dei migliori film in assoluto di Miyazaki… serve altro?
Il maestro giapponese (che conferma di essere il più grande regista presente a Venezia) racconta una dolcissima favola dove la piccola pesciolina rossa Ponyo vuole diventare un essere umano.
Sembra difficile dirlo, ma ad una prima visione "Ponyo on a Cliff by the Sea" è l’opera meglio disegnata fra quelle di Miyazaki. Sfondi pastello, disegni perfetti, colori magnifici, fanno sì che ogni singola immagine del film sia degna di essere mostrata nei migliori musei d’arte pittorica al mondo.
Il film migliore del concorso, della mostra in assoluto. Sarà difficile (impossibile?) vedere altre opere di tale livello.

Para: semplicemente: Miyazaki dimostra nuovamente di essere l’unico a scrivere fiabe come fossero poesie.

Il papà di Giovanna di Pupi Avati

Chimy: Il concorso si tiene alto anche con il bel film di Pupi Avati. Il regista realizza una delle sue opere più interessanti degli ultimi anni.
La regia è buona (nella sua semplicità) e costante per tutto il film; il regista tiene perfettamente a bada la sua opera per tutta la sua durata.
Ottimi i rapporti fra i personaggi, fra i quali spicca il delicatissimo rapporto fra Giovanna e suo padre (come vuole il titolo).
Fra le interpretazioni svetta un Silvio Orlando degno di Coppa Volpi.

Para: un film che nasconde molti pregi ma che è realizzato in maniera banale. Ai bravi Orlando e Rohrwarcher, e al loro rapporto padre figlia ben delineato, si affianca, infatti, una regia semplicissima, quasi da fiction, e un Ezio Greggio poliziotto fascista inguardabile.

Vegas: Based on a True Story

Para: un film interessante. Girato in digitale, in cui viene mostrata l’ossessione di un padre verso la possibilità che nel proprio giardino siano stati seppelliti un milione di dollari. La sua follia contagierà il figlio adolescente (il cui attore è decisamente Gus Van Santiniano) e con più fatica la moglie. Un film in cui viene sottolineato come a Las Vegas l’uomo sia ossessionato dal denaro e dal fare il colpo della propria vita. I due coniugi, ex dipendenti dal gioco d’azzardo, ricadono nel vortice. Quello che fa del film un’opera particolare è la regia e la fotografia. Molto semplice ed efficace e realizzata con mezzi modesti.

L’autre di Patrick Mario Bernard e Pierre Trividic

Chimy: Il concorso prosegue il suo slancio con questo interessantissimo film francese.
"L’autre" è il primo film del festival girato in digitale con cognizione del mezzo utilizzato. I due registi ricercano una forma molto interessante per l’uso delle luci, per movimenti di macchina e per scelte dei piani.
Nella sua semplicità, è interessante anche la storia dove una donna, gelosa perchè il suo amante si è innamorato di un’altra, inizia a cercare ossessivamente la sua rivale, senza capire che forse il suo vero nemico è quello che si trova davanti quando si guarda allo specchio.
Speriamo fortemente in una distribuzione.

Para: un film davvero notevole, con regia e fotografia di altissimo livello. Studiato nei dettagli è un’ottima messa in scena della vita di una donna che cerca nel mondo qualcuno su cui indagare, quando dovrebbe indagare maggiormente su sé stessa. A tratti Lynchiano, resta comunque un film da vedere.

La terra degli uomini rossi di Marco Bechis

Chimy: Non che ci fossero dubbi visto il nome del regista, ma "La terra degli uomini rossi" è un signor film; secondo solo a Miyazaki nel concorso.
Bechis racconta con forza e incisività la vita degli indios ai giorni nostri. Una tematica poco conosciuta che si accompagna ad immagini poetiche e ad una regia sempre convincente.
Il regista racconta anche un ritorno alla propria terra degli indios, una ricerca per ritrovare le proprie tradizioni, le proprie culture. Per loro sembra non esserci speranza di un futuro migliore, privo dell’oppressione dei bianchi.
Mi fermo perchè, vista l’imminente uscita in sala, ne riparleremo meglio con una normale recensione.
Se Bechis fosse davvero italiano, come piace far credere in questo periodo, sarebbe uno dei nostri registi migliori.

Para: Bechis realizza un film di denuncia sociale di assoluta forza.La condizione odierna degli Indios, a metà tra la civilizzazione e la ghettizzazione è un argomento che è giusto trattare. Bechis realizza un film ben girato e soprattutto ben recitato. Gli attori Indios non professionisti hanno contribuito enormemente alla riuscita del film, recitando con naturalezza. Un’opera che merita tutto il successo e la distribuzione che possono esserle date.

Nuit de chien di Werner Schroeter

Chimy: Idea interessante, ma sviluppata malissimo. Realtà apocalittica dove si scontrano i due capi delle opposte posizioni politiche.
Realtà apocalittica? Sì, ma per farlo capire il regista gira semplicemente di notte e mette nelle strade dei secchi con zampilli di fuoco sopra. Insomma…
A tratti grottesco ma forse lo è involontariamente.

A erva do rato di Julio Bressane

Chimy: Bressane visti i successi dei suoi ultimi film si è forse un pò montato la testa. Film lentissimo e ultra-autoriale. Da tralasciare.

Teza di Haile Gerima

Chimy: Ci aspettavamo molto, abbiamo avuto abbastanza poco.
Il film parte benissimo con una regia virtuosa e toccante. Dopo 20 minuti Gerima smette di girare e il film diventa un semplice documentario su un ragazzo etiope che va a vivere in Germania e poi torna in Etiopia dove la situazione è molto complessa. Opera autobiografica che, pur essendo (per temi, origine, convenzioni) pronta anche a vincere il festival, convince solo in parte. Purtroppo.

Il ritorno dei grandi…

Prossimamente nelle nostre sale ritorneranno film di grandi registi da poco tornati a lavorare.
Il primo di questi sarà "The Limits of Control", nuovo lavoro di quel genio immenso nella foto, che sarà certamente il SuperHype 2009.
Nel cast di quest’opera molto misteriosa vi saranno Bill Murray, John Hurt, Tilda Swinton, Gael Garcia Bernal e il mitico Isaach De Bankolè più vari camei importanti. Iniziate pure a sbavare…
Il ritorno più atteso sarà però un altro, poichè di un grande regista di cui non si sentiva parlare da anni: quello di Alejandro Amenabar che, dopo il bellissimo "Mare dentro" di ben quattro anni fa, è tornato al lavoro con "Agora", un dramma storico che uscirà nel 2009.
Quest’estate, invece, i fan del cinema orientale d’animazione potranno tornare ad esultare per il nuovo film del maestro Hayao Miyazaki dal titolo "Ponyo on a Cliff". Noi naturalmente stiamo già esultando.
Infine, come ultimo titolo, so che non dovrei parlarne perchè non è un ritorno dato che Kim Ki-duk fa un film all’anno poichè non riesce proprio a stare lontano dalla sua arte, ma ha già finito di girare un nuovo film (fatto in poche settimane naturalmente) dal titolo "Bi-mong" (Sad Dreams), con il quale per la prima volta il genio coreano avrà a che fare una storia d’amore ambientata nel mondo dei sogni… ahi. Colpiti. Affondati.

“Lupin III & Il Castello di Cagliostro”: uscito in Giappone nel 1979 arriva nelle nostre sale con 28 anni di ritardo.

lupin_cagliostroHayao Miyazaki è una (e badate bene, UNA) delle figure più importanti del cinema d’animazione giapponese (e non solo). Diventato famoso qui da noi (30 anni in ritardo) dopo aver vinto l’Orso d’Oro a Berlino nel 2002 con “La Città Incantata” e grazie alla meritatissima assegnazione del Leone d’Oro alla carriera alla 62° Mostra del Cinema di Venezia.
Lupin III & Il Castello di Cagliostro” è il suo primo lungometraggio,  film in cui riesce nella prova in cui molti falliscono, cioè nello sviluppare un film intorno al personaggio di una serie animata senza cadere nell’infame trappola di realizzare un noioso episodio allungato. Miyazaki, già regista (ma non ideatore, visto che Lupin è figlio del grande Monkey Punch) dei primi 15 episodi della prima serie del ladro gentiluomo (quella con la giacca verde, datata 1971), confeziona un film dove le tipiche atmosfere degli episodi vengono trasportate egregiamente. Il regista ha chiaramente avuto in più l’opportunità di sviluppare maggiormente la trama e di architettare un bilanciatissimo alternarsi di scene statiche e scene d’azione, il tutto intervallato dalle tanto geniali quanto assurde trovate comiche tipiche del caro Arsenio Lupin III.
Questa volta il ladro dalla giacca verde, francese d’origini, ma giapponese d’adozione, vuole scovare il tesoro del castello di Cagliostro, residenza di un conte responsabile di quasi tutta la contraffazione di denaro del mondo. Ovviamente non mancheranno Jigen, Gemon, Fujiko e il caro ispettor Zenigata.
Nonostante sia evidente il divario tra i successivi lungometraggi (senza andare tanto lontano l’affascinante “Nausicaa della Valle del Vento” è del 1984, cinque anni dopo “Il Castello di Cagliostro”) Miyazaki mostra senza problemi il suo indubbio talento. Le scene d’azione, al 99% fughe e inseguimenti, sottolineano l’incredibile capacità del regista di “muovere” la macchina da presa a tutta velocità. Capacità questa che si evince dall’indiscusso dono di realizzare scene di volo stupende, purtroppo quasi assenti in questo film, nonostante tale abilità fosse già ben evidente nella bellissima serie animata “Conan il Ragazzo del Futuro”, realizzata l’anno precedente.
Miyazaki, che del film è anche soggettista e sceneggiatore insieme ad Haruya Yamazaki (lo sceneggiatore di “Gigi La Trottola”), inserisce nel suo primo lungometraggio le tematiche a lui più care: la bellezza e l’importanza della natura e del passato, che sono il vero e unico patrimonio dell’uomo.
E come in ogni avventura Lupin rimarrà a bocca asciutta, perché il vero tesoro non è mai cosa solo per sé, ma per tutta l’umanità. Così di nuovo via, sulla sua 500 gialla, inseguito da Zenigata, dall’Interpol e dal cuore di chi in un modo o nell’altro ama (o apprezza) il ladro gentiluomo.

Para
Voto Para: 3/4