E venne il giorno: per l'uomo l'unica regressione possibile è la morte.

C’era un tempo in cui i suoni della natura spaventavano a morte gli esseri umani.

Un tempo in cui l’acqua e il vento erano entità minacciose dalle quali si cercava di stare alla larga il più possibile.

Oggi abbiamo racchiuso il vento nei condizionatori d’aria e l’acqua nelle fontane; oggi i loro suoni ci possono evocare ricordi nostalgici per un ambiente naturale che abbiamo distrutto, non riescono più a rimandarci ad un immaginario di terrore, come facevano in passato.

Carl Gustav Jung chiamava questi suoni naturali degli “archetipi simbolici”; che ci evocano, ancor oggi, delle sensazioni che sembravano perdute da secoli.

Forse è proprio questo uno dei temi fondamentali di E venne il giorno, ultimo importantissimo film di Manoj Night Shyamalan, uno dei registi più attenti del panorama odierno a raccontare, attraverso geniali metafore, il mondo di oggi che ci circonda.

La natura spinge gli uomini a suicidarsi… pura fantascienza? Ipotesi astruse senza alcun fondamento? Tutt’altro.

Secondo molte tradizioni e culture importanti, alcuni venti erano considerati causa di morti e di suicidi: venti come il Phoen in Europa o lo Chinook in America del nord.

Da sempre, inoltre, cause naturali inspiegabili hanno portato gli esseri viventi a darsi la morte: molti di questi esempi sono considerati ormai delle leggende, l’uccello di rovo che dopo aver cantato si lancia fra le spine o il suicidio di massa dei simpatici lemming, ma all’origine delle leggende c’è sempre un fondo di verità.

In E venne il giorno, però, gli atti compiuti dagli esseri umani non sono semplicemente dei suicidi.

Seguendo Jung, prima di questo, vi è una regressione, simboleggiata dal camminare all’indietro, verso uno stadio ancestrale dell’essere.

Lo stesso tipo di regressione che si cercava di raggiungere nel geniale The Village (che anticipa proprio questa fondamentale tematica): un ritorno alla natura nell’epoca in cui è stata distutta.

E forse ha un senso profondo anche il fatto che, all’interno del film, la natura si sia decisa soltanto oggi a distruggerci.

Oggi che le associazioni per la difesa dell’ambiente (per quanto siano troppo poche) crescono sempre di più, in un momento in cui stiamo iniziando (e meno male) ad avere nostalgia della natura che abbiamo distrutto, la natura stessa, conscia del nostro aver abbassatto l’attacco, non può dimenticare cosa le abbiamo fatto e passa allla contro-distruzione.

Studiando la filmografia del regista, considerato giustamente il genio cinematografico attuale dei colpi di scena finali, diventa ancor più interessante la conclusione di questo film (naturalmente si parla della prima, non delle successive due, imbarazzanti, ma decise certamente dalla produzione, che a me interessano poco vista la profondissima riflessione precedente).

(D’ORA IN POI SPOILER SUL FINALE)  Già perchè in E venne il giorno il finale è esattamente “anti-Shyamaliano”.

Mereghetti (è la prima volta che faccio nomi di critici in una recensione, cosa che non mi piace per niente, ma ho bisogno di un esempio concreto) ha duramente criticato il film sul Corriere della sera perchè privo di colpi di scena… raramente nella mia vita ho letto una recensione così assurda; poichè l’assenza di questi è una scelta precisa e intelligentissima.

Il colpo di scena non può esserci, se le conseguenze di questo, insieme alle sue cause forse, non possono spiegarsi o essere spiegate.

Il senso finale del film è una delle frasi che vengono dette all’inizio: le azioni della natura spesso non possiamo in alcun modo capirle, per questo un colpo di scena non avrebbe avuto senso.

La natura, a cui Shyamalan potrebbe aver dedicato questo film, rimane un mistero troppo grosso: la scienza non può dimostrarne razionalmente tutti i fenomeni. Forse soltanto il cinema, praticando la sconosciuta (dalla scienza) strada dell’assenza di spiegazione, può provare a decifrarla…

 

 

«Considerando l’apertura alare e la frequenza del battito delle ali, rapportate al peso, è scientificamente provato che un coleottero non può volare… “Vola perchè non lo sa!!!”»

 

Scritta all’ingresso della Facoltà di Ingegneria Aeronautica Cambridge University


 

Chimy

Voto Chimy: 3/4


 

 

 

 

La tattica è militare: spingere il nemico il più possibile in mezzo al proprio fuoco. Dalla città si spinge la massa verso la campagna, dal luogo più pericoloso (la metropoli) si passa al luogo più apparentemente sicuro (la campagna incontaminata). La metropoli rappresenta l’emblema della distruzione e della cementificazione, culla di criminalità e indifferenza, di fretta e frenesia, in cui l’uomo vive con orgoglio e compiacimento. Ma l’uomo non può che essere consapevole dell’immancabile bisogno di uno spazio libero (o quasi) da questa aggressività umana. Lo spazio in cui la natura mantiene ancora una forte presenza è fondamentale: sia nel bisogno estremo (nascondersi da una minaccia o comunque da un luogo che si reputa insicuro), che nel bisogno personale ed intimo (cercare la pace, la serenità, rilassarsi). Il succo è uno soltanto: con più o meno frequenza l’uomo necessita di rapportarsi con l’ambiente naturale. Solo che l’uomo è stupido e non lo capisce fino a quando non gli costerà la propria vita (anche in senso figurato). Ma se, appunto, l’ambiente naturale è, per l’uomo fortemente civilizzato, solo un luogo di pace e sicurezza, cosa succederebbe se questa sicurezza dovesse venire meno?

Shyamalan ci vuole dire proprio questo: ciò che avete distrutto, ma di cui avete e avrete sempre bisogno, adesso vuole distruggere voi. La pesante accusa che il regista muove è talmente assurda (a livello “culturale”) da risultare ridicola a chi è abbastanza stupido da non capire quanto essa sia attuale e adeguata.

Sono le piante a permetterci la vita, grazie alla capacità di rifornirci di ossigeno, e potrebbero essere loro stesse ad avvelenarci. Sono il polmone che potrebbe ammalarsi di cancro a causa nostra. L’auto sopravvivenza è comune per tutti.

Ma Shyamalan fa di più: sembra che il meccanismo di intossicazione celebrale causato dalle secrezioni dei vegetali, sia accelerato in funzione delle dimostrazioni d’odio degli uomini. L’odio che l’uomo (la civiltà) esterna nei confronti del prossimo e della natura è la vera colpa da punire.

Che poi E venne il giorno possa essere accusato di alcune (e solo alcune) scelte non felici, cioè obiettivamente di cattivo gusto (la sequenza del filmato sul cellulare, alcuni momenti nella recitazione dei protagonisti, il finale e altre piccolezze) questo non lo può svilire di fronte a tutte le altri grandi scelte attuate, dalle sequenze di suicidio fino alla incredibile e compiuta metafora inscenata.

E il finale, nonostante tutto, è in linea nel sottolineare che l’uomo, al di là della lezione avuta, non ha voluto cambiare di una virgola. Ha ripreso la propria vita senza interrogarsi (se non in maniera inconcludente) e per questo dovrà ancora essere punito.


Para

Voto Para: 3/4