Tutto pronto per la notte degli Oscar 2008

Domani sera si conosceranno i vincitori della notte degli Oscar. Scrivo allora qualche breve commento sui 5 film candidati al premio principale, quello per il miglior film, che andrà probabilmente ad un’opera assolutamente immeritevole, ma ormai con gli Oscar non c’è più da stupirsi di nulla.

In ordine alfabetico:

Il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher: L’ultimo film del grandissimo regista di Seven è, almeno in parte, una grossa delusione. Purtroppo dopo che si va a conoscere il soggetto del film ci si trova davanti un’opera che non fa riflessioni ulteriori sul passare del tempo rispetto a quanto si possa immaginare conoscendo minimamente la storia. Certamente però nella vita di Benjamin Button c’è un fascino particolare, la messa in scena di Fincher pur essendo ai minimi storici è comunque funzionale a quanto si va a narrare. Sarebbe stato più adatto però, visto il grande materiale di partenza, costruire anche una possibile riflessione sugli Stati Uniti di oggi e sul mondo in cui stiamo vivendo senza soffermarsi quasi unicamente sulla vita, come detto comunque affascinante, del singolo individuo e sull’importanza decisiva che il destino svolge nell’esistenza di ognuno di noi. Con il dolore nel cuore devo dare, per la prima volta, ad un regista che amo da impazzire un voto inferiore a quello del "buon film": Fincher che ha fatto gli anni ’90 cinematografici, non ha (ri)fatto anche il primo decennio del nuovo millennio. In settimana ne riparleremo.

Voto: 2,5/4

Frost/Nixon di Ron Howard: Una bomba ad orologeria con ingranaggi perfetti in tutte le sue parti.
Regia, sceneggiatura e interpretazioni solidissime ci accompagnano in un’opera puglistica in cui il cinema mette K.O. le basi da cui il film deriva.

Voto: 3/4

Milk di Gus Van Sant: Stupefacente compromesso fra giuste retoriche classiche e avanguardismi vanSantiani del nuovo millennio. Degnamente candidato.

Voto: 3/4

The Millionaire di Danny Boyle: Film zuccheroso e superficiale. Talmente mal fatto e furbo da essere il grande favorito alla vittoria finale. Falsamente ingenuo, The Millionaire è un prodotto calcolato e costruito per farsi piacere. Non irrita perché è un filmetto davvero da poco. Più che per la notte degli Oscar è adatto per delle tranquille domeniche pomeriggio per famiglie non troppo esigenti.

Voto: 2/4

The Reader di Stephen Daldry: Ultimo uscito e forse ultimo in tutti i sensi nella cinquina. The Reader è un film poco sincero, calcolatissimo e altamente inconcludente. Si sfiora a tratti l’imbarazzo per eccessi del trucco (fatti per compiacere l’academy) e per brutture varie (vedi Lena Olin che interpreta sua figlia da adulta… chi ha visto il film capirà). Kate Winslet cerca di salvarlo, è brava ma non al suo meglio. Passo indietro preoccupantissimo per Daldry dopo l’ottimo The Hours.

Voto: 2/4

Chimy

Milk: cronache di morti annunciate


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C’era un pò di preoccupazione che, con Milk, Gus Van Sant fosse tornato a girare un film alla maniera delle sue pellicole di una decina di anni fa, prive dell’attenzione formale che il “regista di Psycho” ha invece sviluppato nel nuovo millennio.

Invece Milk è un compromesso registico abbastanza stupefacente.

Alle retoriche hollywoodiane classiche, usate correttamente, si aggiungono nel film le “consapevolezze (quasi) avanguardistiche” degli ultimi lavori del regista.

Se, comunque, per buona parte del film si va a seguire (anche giustamente, se vogliamo) la struttura tradizionale del biopic; questa viene integrata ad immagini profondamente affascinanti (vedi le tante inquadrature “di riflesso” negli specchi o in un fischietto) tipiche degli Elephant o dei Paranoid Park (le immagini sgranate, solo per fare un altro esempio).

Van Sant viene inoltre supportato da un cast in grande forma: ottimo Sean Penn (anche se la statuetta continua a meritarsela Mickey Rourke) e molto bravi tutti gli attori secondari, in particolare un perfetto James Franco che avrebbe meritato la nomination probabilmente più di Josh Brolin.

Naturalmente però il primo fine di Van Sant era soprattutto raccontare la storia di Harvey Milk e trasmettere al pubblico il suo importante messaggio.

La biografia di Van Sant del primo consigliere gay dichiarato di S.Francisco non è soltanto un’operazione militante: il suo è un lavoro appassionato, orgoglioso e sincero.

Erano infatti molti anni che Van Sant teneva molto a fare quest’operazione e ora che c’è riuscito ha ottenuto anche diverse nomination agli Oscar (una curiosità è che nel 1984 un film su Harvey Milk aveva già vinto un oscar nella categoria del film documentario: si trattava di The Times of Harvey Milk di Rob Epstein).

Inserendo il film anche nel contesto politico attuale colpisce molto negativamente notare che le ipocrisie e le posizioni contro le quali lottava Milk negli anni ’70 sono le stesse contro le quali ancor oggi i gay, ma non solo, devono confrontarsi.

Un riferimento importante per ulteriori riflessioni sull’oggi è anche l’uscita del film in un momento tanto delicato per la storia americana con l’avvento dell’era Obama: come Milk, un altro membro di una minoranza che cerca di portare avanti con forza le sue fondamentali idee. Entrambi, Milk e Obama, uniti da una parola chiave importante, come ha dichiarato anche Van Sant: la speranza per un futuro migliore.

Come Obama, Milk però non si rivolgeva unicamente alla sua minoranza e Van Sant è stato perfettamente in grado di trasmettercelo (centrando l’obiettivo forse primario del film) realizzando un film che, ci auguriamo, riuscirà a parlare con forza a tutti gli spettatori che lo vedranno.

Chimy

 

 

Voto Chimy: 3/4

"Paranoid Park": mamma mia guarda come mi diverto a skatare con Gus Van Sant!

Paranoid Park è uno skatepark. Punto. Negli skatepark ci vanno gli skater a girare sullo skateboard. Punto.
Uno di questi skater è Alex, che va a Paranoid Park è non gira sullo skateboard, quindi non è uno skater, ma solo un adolescente freddo, apatico, distaccato e con problemi personali e familiari. Nella sua “allegra e spensierata” vita riesce addirittura ad uccidere un vigilante ferroviario: colpendolo con il suo skateboard, e macchiandosi inspiegabilmente di sangue felpa e maglietta, l’uomo perde l’equilibrio, cade sulle rotaie e un treno lo trancia a metà. Come se non bastasse l’uomo, il cui busto dista circa un metro dalle sue gambe, che rimangono collegate da un filo di budella, striscia verso Alex per chiedere aiuto. Plausibile e possibile nella realtà, vero? E soprattutto in linea con la delicatezza che mantiene buona parte del film, vero? La risposta è no. Questa scena è imbarazzante e da sola basta a far vedere con il binocolo il titolo di capolavoro a “Paranoid Park”.
A ribaltare questa scena che è manifesto di “difetto” c’è però un intelligentissimo sistema narrativo ad incastro e ripetizione, già visto in qualche modo in “Elephant”, e alcune sequenze davvero ottime.
La ripetizione e l’incastro narrativo è un buon sistema per dare allo spettatore la possibilità di ricostruire personalmente i fatti proposti, e per ripetere da un diverso punto di osservazione, ma non “di vista”, un fatto. Proporlo in ordine temporale apparentemente casuale toglie linearità e da dunque allo spettatore una visione leggermente meno passiva, e dunque una fruizione per qualche verso più intelligente.
Alcune sequenze restano poi girate egregiamente, dandoci la prova che, in fondo, Gus Van Sant ci sappia fare. Le due belle riprese fisse durante il primo amplesso di Alex (che poi voglio dire, ha 16 anni, chi a 16 anni la prima volta è messo così? Ma sorvoliamo), e durante la conversazione col padre sono valide almeno quanto alcuni piani sequenza realizzati seguendo il camminare lento e insicuro di Alex.
Due grandi pregi questi, che bilanciano anche un altro difetto, però più piccolo: le riprese in super 8. Che la ripresa in super 8 dia il senso “amatoriale” è scontato, e anche che le consuete riprese amatoriali su skate siano sempre fatte in super 8, ma inserirle con più o meno casualità in troppe situazioni, con la musichetta dolce e in ralenty, a mio avviso appaiono ben più finte di quanto vogliano invece sembrare vere.
Gus Van Sant ha poi l’arroganza di credere di osservare senza giudicare ma, a differenza di “Elephant”, dove ciò è obiettivo, in “Paranoid Pak” non fa altro che girare intorno, guidando lo spettatore verso la sua interpretazione, compie dei tricks, come gli skater a Paranoid Park, che vogliono far apparire una tavola di legno e uno skatepark mezzi e luoghi per esprimere la propria anima. La matita viaggia sul foglio, le rotelle viaggiano sul cemento “paranoico”, Gus Van Sant muove la sua mdp, e in tutti e tre i casi sono necessari dei “trucchi” per far apparire tutto meglio di quanto sia. Spruzzi creativi nella scrittura; ollie, kickflip e manual sullo skate; intensità cinematografica sulla pellicola. Gus Van Sant prende un pezzo di legno e cerca di fare l’autore, girando intorno ai suoi già riconosciuti pregi, rovinandoli di tanto in tanto.
Però il film tutto sommato funziona, ma rimane più irritante notare come il regista manchi il trick cadendo, che appagante quando invece fa il suo lavoro con la classe dell’artista. Tocca i vertici in entrambi i casi, e dato che rimane più spesso in piedi sulla tavola, piuttosto che a terra con le ginocchia sbucciate, possiamo dire che “Paranoid Park” è sì un buon film, ma nulla più.
Para
Voto Para: 3/4

COMMENTO DI CHIMY

Dopo alcune divergenze su "La promessa dell’assassino", questa volta sono d’accordo con il giudizio complessivo espresso dal buon Para.
Gus Van Sant fa, con "Paranoid Park", una profonda riflessione sull’età che da sempre più gli interessa: l’adolescenza.
Il senso di colpa di Alex (dopo l’omicidio) è ben rappresentato dall’attore (esordiente) Gabe Nevins che riesce a trasmetterci l’apatia presente nel suo personaggio.
Il mondo del protagonista sembra fermarsi dopo il fattaccio: non sembra ascoltare più nessuno, niente sembra più sconvolgerlo, neppure le più forti emozioni (molto bella la sequenza dell’apatico "primo" rapporto sessuale) riescono ad oltrepassare la barriera di un senso di colpa che neanche l’acqua riesce a purificare (altro momento molto riuscito: la doccia).
Nonostante questa profondità di contenuti, anche a mio parere "Paranoid Park" ha dei problemi nella forma.
Tra quelli sottolineati da Para sono d’accordo, in particolare,  sulla scena dell’ "uomo tranciato in due": brutta, fuori dalle corde di Van Sant e non in linea con "la delicatezza che mantiene buona parte del film" (citazione dalla rece del compare).
Vorrei sottolineare però un altro "errore" che, personalmente, ho trovato imperdonabile: prima che Alex bruci la lettera con la quale ci confessa quello che ha fatto, durante una conversazione una sua amica gli dice: "L’importante è scriverla la lettera (…) poi puoi farne quello che vuoi (…) puoi anche bruciarla"; anticipando così l’azione toccante di Alex, che diviene per questo telefonata e priva di quel maggiore fascino che poteva avere (per molti potrebbe essere una quisquilia, per me non lo è).
Soprattutto per i contenuti è un buon film, ma andiamoci piano a parlare di capolavoro.
Così come dovrebbe andarci più piano Van Sant che, nella sua sempreverde modestia, definisce il personaggio di Alex come un "Dostoevskij sullo skateboard".

Voto Chimy: 3 / 4