FEFF 2009: resoconto!

Departures – Yojiro Takita

 

Chimy: Il film (per la maggior parte delle persone) più atteso del festival. Oscar 2008 per il miglior film straniero su Valzer con Bashir, La classe e il nostro Gomorra… per fare qualche nome. Departures è un film che bisogna ammettere essere decisamente interessante. Un viaggio alla scoperta dei rituali funebri giapponesi e, in particolare, alla preparazione dei defunti per la loro “partenza”. Estremamente efficace e funzionale nelle parti più divertenti e grottesche, Departures risulta meno efficace nei momenti che vogliono essere (e solo in parte ci riescono) più commoventi e melodrammatici. Poco equilibrato fra i registri, ma certamente di buon livello nelle singole parti che però risultano in alcuni momenti difficilmente amalgamate e amalgamabili. Ottimo cast e costantemente buona la fotografia. Oscar comunque nettamente immeritato per un’opera che convince a metà. Naturalmente è stato anche il vincitore (anche qui premio molto discutibile) del Feff 2009, che ricordiamo essere decretato dal pubblico.

 

Para: Oscar immeritato e premio Feff ancor meno meritato. Departures unisce un ottimo cast ed una buona regia a momenti che appaiono troppo posticci. Il dramma personale del protagonista, e i piccoli drammi delle famiglie in lutto non risultano altrettanto riusciti quanto tutte le situazioni più grottesche e divertenti. Di buono c’è che è un inno alla vita che parla di morte.

 

 

Rough Cut – Jang Hun

 

Chimy: La sorpresa lieta del festival. Esordio promettente per uno dei pupilli di Kim Ki-duk che qui produce e scrive la sceneggiatura (e si vede!). Riflessione estremamente interessante sulla natura della violenza in relazione alla rappresentazione di questa sullo schermo e nella realtà. Davvero ottimo nella prima parte si va un po’ a perdere nella seconda, che però si rialza con una citazione perfetta a Bad Guy e ad un immaginario tipico del regista che aveva esordito col bel Crocodile. Molto macchinosa l’ultima parte, ma nel complesso un film soddisfacente che fa ben sperare per il futuro del giovane regista coreano.

 

Para: con Rough Cut si capisce che c’è qualcosa di intelligente alle spalle. La sceneggiatura di Kim Ki-duk è il punto forte del film, un film che risulta tutto sommato godibile, a parte qualche momento in cui l’accompagnamento musicale, unito alle battute dei protagonisti, rende tutto un po’ posticcio.

 

 

Horror Day

 

Chimy: Inutile dividere i titoli ed ormai inutile anche guardarli poichè sono anni che l’horror day udinese procede stancamente nel corso della sua giornata senza alcun tipo di guizzo o di motivo d’interesse. Ormai sembra che in Asia gli horror li facciano solo in Thailandia e in Indonesia… forse è vero, ma li fanno davvero male. Evento da eliminare.

 

Para: sottoscrivo. Piccola nota a margine è il film Rathree Reborn, terzo episodio di una serie di film Thailandesi in cui viene unito horror a commedia demenziale. Ovviamente vincente la parte demenziale, assolutamente dimenticabile la componente horror, che si limita a riproporre di continuo il trend di “faccia brutta che appare sullo schermo con urlo e rumori a manetta”.


 

Crush and Blush – Lee Kyoung-mi

 

Chimy: Dopo il film prodotto da Kim Ki-duk c’è stato quello scritto e “protetto” da Park Chan-wook con risultati però molto diversi. Se in Rough Cut si toccavano tematiche importanti e si sentiva la mano di un regista bravo, seppur esordiente, non si può dire lo stesso con questo film abominevole privo di qualsiasi guizzo cinematografico o di motivi che potrebbero portarci a parlarne maggiormente. Inutile e da dimenticare.

 

Para: commedia inutile e noiosa per donne isteriche/represse/depresse.

 

 

Fiction – Mouly Surya

 

Chimy: Il film peggiore del festival che conferma come il cinema indonesiano ancora non riesca a produrre lavori minimamente interessanti. Procede stancamente fin dai primissimi minuti, vorrebbe essere una sorta di thriller psicologico ma l’unica inquietudine che è riuscito a creare è quella di quando, guardando l’orologio, ci siamo accorti che mancava ancora un’ora prima dei titoli di coda.

 

Para: noia, situazioni e battute nonsense (non volute), regia piatta, attori scadenti.

 

 

The Equation of Love and Death – Cao Baoping

 

Chimy: Un film che fa dell’essere “diverso” il suo punto di forza. Una trama e una regia che si distaccano dalla standardizzazione del cinema cinese degli ultimi anni per un prodotto che però oltre alla sua particolarità non riesce ad avere altre qualità che l’avrebbero portato ad innalzarsi ad uno dei film migliori del festival. Un interessante soggetto va a scontrarsi con risvolti narrativi di una sceneggiatura molto costruita a tavolino per far nascere riflessioni pseudo-intellettuali ma poco sincere. Parla di sentimenti importanti, ma purtroppo al film mancano in buona parte. Peccato, poteva essere un lavoro di alto livello.

 

Para: una taxista cerca da quattro anni il suo ex che l’ha abbandonata senza motivo, per farlo mostra le sue foto a tutti i clienti che incontra, a cui narra anche numero e testo delle lettere che il suo ex continua  a spedirle per qualche oscuro motivo. Prima metà da grandissimo film, con regia frammentata come le informazioni che abbiamo noi e la protagonista (Zhou Xun, bellissima e bravissima), seconda parte che si adagia sul cercare di rispondere ad alcuni interrogativi. In totale un film per metà tesissimo e bellissimo che vince per qualità intrinseche e anche perché per una volta non è il solito film cinese.

 

 

The Good, the Bad, the Weird – Kim Jee-woon

 

Chimy: Spari e confusione per un film delirante che omaggia Sergio Leone soltanto nel titolo poichè privo della classe, della grazie e della cura registica dell’immenso regista di C’era una volta il west. Molto incentrato sul colpire lo spettatore, si perde di vista completamente ogni forma di attenzione per una sceneggiatura inefficace e priva di fondamenta. Unica nota davvero positiva la presenza Song Kang-ho che cerca di alzare il film con tutto il suo talento comico-espressivo. Come spesso avviene coi film di Kim Jee-woon la visione si conclude col pensiero di aver visto un’opera che, seppur ben girata, ha davvero poco senso di esistere.

 

Para: un film che si presenta come un omaggio a Sergio Leone, ma che poi non ha nemmeno un omaggio a Sergio Leone era difficile da fare e Kim Jee-woon ci è riuscito. Azione continua fine a sé stessa, un film d’intrattenimento che intrattiene poco, complice la durata di 130 minuti. Almeno se vuoi divertire e intrattenere, tieniti sui 90 minuti. Film inutile.

 

 

The Story of the Closestool – Xu Buming

 

Chimy: il classico film cinese del nuovo millennio attento al sociale, ai cambiamenti in Cina e ai rapporti famigliari che spesso perde di vista il ritmo cinematografico. Stancante.

 

Para: solito film cinese che mette in scena nel solito modo un qualcosa di diverso nell’apparenza ma non nella sostanza. La protagonista si innamora dei water all’occidentale e lavorerà per costruirsene uno in casa, dicendo addio al vaso da notte. Solite questioni di comunità, sviluppo, lavoro, famiglia.

 

 

Love Exposure – Sion Sono

 

Chimy: il film del Feff 2009. Lo pensavamo tale e ne abbiamo avuto la conferma. Opera-monstre di quattro ore che è soprattutto un’esperienza all’interno dell’universo del giappone contemporaneo e in particolare delle sette religiose; ma è anche un viaggio all’interno di diversi generi e registri cinematografici perfettamente orchestrati ed equilibrati dal bravissimo Sion Sono. Ottimo cast e ottima regia per un film che fa però soprattutto di una sceneggiatura geniale e profondissima il suo grande punto di forza. Pochi cali nel corso di quattro ore di visione compensati inoltre da momenti di altissimo cinema, tra cui una prima parte (il film è diviso a capitoli) che è fra le cose migliori viste sul grande schermo negli ultimi anni. Sion Sono, come già nel bel Suicide Club, utilizza l’orrore (in questo caso l’ipocrisia religiosa) per raccontare il mondo e gli anni in cui stiamo vivendo. Speriamo di parlarne più ampiamente in seguito anche perché Sion Sono è uno dei fenomeni più interessanti del cinema asiatico contemporaneo e merita tutta l’attenzione che fin’ora (almeno in Europa e soprattutto in Italia) ha faticato ad avere fino in fondo.

 

Para: un incipit di un’ora e un quarto da applausi scroscianti, prime due ore e un quarto brillanti e ottime, un’ora che si adagia in una dimensione più intima e riflessiva, e un’altra ora finale da applausi. Quattro ore mai così piacevoli, una sceneggiatura da maestro assoluto della narrazione unita ad una regia che nelle parti più brillanti ha ritmi da orologio. Sequenze che sono già di culto e una continua commistione perfetta tra comicità, umorismo e dramma familiare e sociale. Love Exposure è il miglior film visto al Feff e decreta Sion Sono come uno dei registi giapponesi migliori di questi anni. Ripetiamo di nuovo una cosa importanta: dura 4 ore 4 ma volano come fossero 2.

 

 

The Accidental Gangster – Yeo Kyun-dong

 

Chimy: Divertissement privo di qualsiasi spessore che cerca di divertire, ma arriva anche ad irritare in momenti melodrammatici che si prendono troppo sul serio.

 

Para: Concentrato di arti marziali, comicità ed estetica pop con una bella colonna sonora di rap coreano che però crolla inesorabilmente quando, all’improvviso, diventa seria e drammatica senza alcun senso ed utilità.

 

 

Yatterman – Takashi Miike

 

Chimy: C’era un po’ di preoccupazione per questo film visto le non sempre ottime prove di Miike quando si trova a gestire film commercialissimi con budget molto elevati. Invece Yatterman è il film giusto da fare per il soggetto (la serie TV) da cui è tratto. Giustamente delirante e divertente, Miike riesce bene anche a tratteggiare i personaggi protagonisti delle vicende in poco tempo, seguendo il filo della trama originaria ma aggiungendovi un finale assolutamente Miikiano. Certamente imperfetto e privo della profondità dei film del regista che più amiamo, Yatterman è un film onesto che dichiara fin da subito quali sono i suoi intenti. Seppur personalmente continui a rimpiangere (e molto) il Miike di qualche anno fa che faceva della filosofia il suo punto di forza, Yatterman è da inserire insieme a Departures e Rough Cut fra i film visti al festival non perfetti, ma comunque molto interessanti. Gruppetto che sta dietro soltanto a Love Exposure che, ripetiamo, ha uno spessore che il resto della ciurma non sembra proprio aver voltuo cercare di conoscere.

 

Para: Hype altissimo ma aspettative basse, il tutto ripagato da un ottimo Miike che si diverte e diverte riproponendo in live action quel culto quale è Yatterman (da noi Yattaman). Azione, mecha design divertenti e continui rimandi al prodotto animato originale. Una goduria per i fan della serie animata, per i nostalgici e per i fan di Miike, complice un pre finale assolutamente Miikiano. Miike è riuscito ad amministrare una quantità di materiale che avrebbe messo in crisi chiunque altro tirando fuori un prodotto fresco, sincero ed originale. Grande Miike!

 

 


Prima di chiudere questo capitolo Feff, nell’attesa del prossimo anno, è indispensabile salutare e ringraziare alcuni compagni di bei momenti udinesi, cioè Weltall e la sua ciurma, composta da Rosuen, Shiho, Deiv e Nick; poi Marzia e gli altri grandi cinebloggers presenti Erica, il Murda, KekkozRob. Grazie a tutti! 🙂