Torino Film Festival 2009 secondo resoconto

La bocca del lupo di Pietro Marcello

Per la prima volta nella storia del Torino Film Festival, il vincitore è un film italiano: una "responsabilità" che è toccata a "La bocca del lupo" di Pietro Marcello.
A metà fra documentario e finzione, fra favola e realtà, il giovane regista italiano racconta la storia d’amore fra Enzo, sessantenne appena uscito di prigione, e il transessuale Mary, sua compagna di una vita intera.
Anche se in alcuni momenti appare eccessivamente "costruita", la relazione fra i due è trattata dal regista con garbo e delicatezza.
Facendo tornare alla mente celebri versi di De André, Marcello li segue nei vicoli poveri del porto di Genova dove gli esseri umani <<se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo>>.

Voto: 2,5/4

Neil Young Trunk Show di Jonathan Demme

Secondo documentario (dopo "Heart of Gold") di Jonathan Demme su Neil Young, questo "Trunk Show" è un omaggio di un regista a un suo grande amico e idolo musicale assoluto.
Un’ora e mezza dove Young è costantemente sul palco, al centro della scena, nel corso di vari concerti.
Visto che non uscirà nelle sale, chi è fan del cantautore non si dimentichi di ordinare, appena possibile, il dvd.

Voto: 2,5/4

Pontypool di Bruce McDonald

Pensavamo che Bruce McDonald avesse dato il peggio di sè due anni fa, con "The Tracey Fragments", ma invece no: il regista canadese è tornato ed è riuscito a superarsi.
In "Pontypool", sembra una giornata come un’altra per lo speaker radiofonico Grant Mazzy quando riceve la notizia che gli abitanti della vicina cittadina di Pontypool sembrano vittime di una follia collettiva che li porta a uccidersi l’uno contro l’altro...
Da quando si spiega la causa (assurda come mai) della diffusione di questo morbo, il film procede totalmente fuori controllo. Fino (e oltre) ai titoli di coda.

Voto: 1,5/4

 
Guy and Madeleine on a Park Bench di Damien Chazelle

Piacevolissima opera prima del giovane Damien Chazelle (classe 1985!), "Guy and Madeleine on a Park Bench" è un film che fa della spontaneità e dell’improvvisazione i suoi principali motivi d’interesse.
Ricorda molto il primo Cassavetes grazie a un bianco e nero sgranato e a un montaggio che segue ritmi tipicamente musicali.

Voto: 2,5/4

The Shock Doctrine di Matt Whitecross e Michael Winterbottom

Forse la vera, grande, sorpresa del Festival, "The Shock Doctrine" si situa immediatamente sotto "Tetro" fra le visione torinesi più importanti.
"The Shock Doctrine" prende spunto dal libro omonimo della giornalista canadese Naomi Klein scritto nel 2007, in cui vengono illustrate le teorie di Milton Friedman, Nobel per l’economia nel 1976, dalle quali nascerebbe quella "dottrina dello shock" che è il soggetto stesso della pellicola.
Friedman è stato definito l’anti-Keynes per il suo rifiuto nei confronti di qualsiasi intervento dello Stato nell’economia nazionale, a favore invece di un libero mercato assoluto e di una riforma di privatizzazione su (praticamente) ogni settore della società.
Secondo la Klein la teoria Friedman ha generato abusi di potere (e dittature) al posto di democrazie e l’applicazione del pensiero dell’economista fu possibile in vari stati e governi a seguito di shock nazionali, dovuti a guerre o colpi di stato.
Winterbottom si sofferma sul Cile e sulla dittatura di Pinochet, per poi passare all’Argentina di Videla e alla politica della Thatcher nel Regno Unito, fino ad arrivare alla disgregazione dell’Unione Sovietica e al post-11 settembre con le invasioni americane in Iraq e Afghanistan.
Il film denuncia, infine, tramite la voce stessa di Naomi Klein durante una conferenza all’Università di Chicago, come le teorie iniziate da Friedman siano alla base dei recenti effetti del capitalismo e dell’attuale crisi economica globale.

Un film shock che ci auguriamo riesca a trovare posto, presto, nelle nostre sale.

Voto: 3/4

Chimy

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22 commenti

  1. anonimo

     /  23 novembre 2009

    Già sappiamo su cosa verterà questo commento, e se ancora non lo aveste capito dirò Kill is Kiss per fugare ogni dubbio…
    Purtroppo ho perso The Shock Doctrine e La Bocca del Lupo, quindi mi limiterò, ebbene sì, a commentare Pontypool.
    Mamma mia…
    Partiamo dagli aspetti positivi, che pur non mancano: innanzitutto l’idea iniziale è molto interessante, seppur non innovativa. Il voler "mostrare" una tragedia dall’atmosfera apocalittico-horrorifica togliendo allo spettatore la possibilità di vedere ciò che sta realmente accadendo è uno spunto più che interessante, e in questo la scelta del medium radio è azzeccata. Anche i primi minuti, coadiuvati da una regia attenta e da un montaggio ben cadenzato, mi hanno fatto sperare in un proseguio altrettanto promettente. Il problema è che non c’è mai stato un proseguio… Infatti durante tutto il film non succede assolutamente niente, e quel che succede lontano dagli occhi dello spettatore non viene minimamente lasciato filtrare dalle esperienze dei personaggi che seguiamo e siamo portati a pensare che non stia in realtà succedendo proprio un bel niente, tanto che un finale in cui si scopre che è stata tutta una burla sarebbe stato più che in linea con lo svoglimento della trama. E questo fino ad un certo punto. E proprio quando ci si chiede "ma capiterà qualcosa?" quel qualcosa capita, ed allora il pensiero è "ma doveva proprio capitare?". La soluzione trovata dallo sceneggiatore (non ricordo se è il regista stesso, poi controllo) è di quelle che richiederebbero uno studio sociologico e semiologico da enciclopedia, e il tutto viene trattto con una leggerezza e una superficialità degni del miglior Calvagna. E il resto è leggenda, perlomeno per chi ha avuto l’onore e l’onere di vedere la pellicola. Con un finale raggelante si chiude un cerchio che avrebbe potuto essere una bella figura, ma che è diventato uno scempio…
    A questo punto avvio una riflessione: è più che palese che quel che funziona in questo film è la sceneggiatura, così come in altre opere viste a Torino (indimenticabile anche Transmission…), e la cosa si fa deleterea quando si va a scorrere il catalogo delle opere in concorso, ma non solo. Storie trite e ritrite e prive di qualunque tipo di interesse, mancanza di un qualunque scopo comunicativo, al cinema (dalla parte di chi lo fa) c’è un sacco di gente che non ha nulla da dire o che non sa come dirlo. Forse bisognerebbe ricominciare a leggere, o forse semplicemente allenarsi a scrivere, o ancor più semplicemente non parlare solo per far prendere aria alle gengive.
    So che è un po’ spocchioso pensare una cosa del genere, ma purtroppo questa è l’impressione che ho avuto in questi giorni di festival.
    A salvare il tutto ci ha pensato Wes Anderson, e l’ha fatto con una favola degli anni passati. E io continuo a meditare.

    Legolas

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  2. Questo è un primo commento (senza aver ancora letto) solo x anticipare che ho paura, vista la lunghezza 🙂

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  3. Come darti torto? "Pontypool" inizia benino, seppur con un tema non originale, prosegue tranquillo; poi da quando si inizia a capire la causa della "trasformazione" si arriva a un delirio totale dove potrebbe capitare di tutto.
    Ti faccio i complimenti per essere riuscito a rimanere serio scrivendo il commento del film, perché io ormai ogni volta che ci ripenso a quello che ho visto scoppio ancora a ridere…. 🙂
    Lo sceneggiatore è l’esordiente Tony Burgess… e non lo commento :).
    C’è anche un’altra cosa importante che devo dire sul film (grazie a Honeyboy che me l’ha riferito oggi), ma la lascio per la conclusione di questo commento.

    Riguardo al discorso generale sulle sceneggiature concordo e il caso forse ancor più emblematico è "Transmission", spocchiosissimo, film senza una sceneggiatura dove il regista crede di fare cinema soltanto non facendo succedere niente, con silenzi, con dilatazioni meditative che fa molto "cinema d’autore". Purtroppo sembra che ormai per fare un film si pensi solo alla regia e che una storia (chiamiamola anche così) sia un aspetto di secondo piano.
    Concludo dicendo che Calvagna ho dovuto cercarlo su google, ho letto la filmografia ma non ho mai avuto il (dis)piacere di vedere un suo film 🙂

    E ora la notizia che stavi aspettando: Bruce McDonald sta preparando un seguito di "Pontypool"! Si chiamerà "Pontypool Changes" e se Dio vuole uscirà alla fine del 2010 e magari sarà al prossimo TFF. Io sono già in trepidazione 🙂

    Un saluto carissimo, sempre un piacere i tuoi commentoni

    Chimy

    p.s. KILL IS KISS

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  4. sono felice di sentire apprezzamenti per la sceneggiatura, cioè per quel punto di partenza (avere una buona storia) che è quello che pensano molti registi.
    Purtroppo le nuove leve cinefile non la pensano tutte allo stesso modo.
    Altrimenti non avrebbero tributato un trionfo agli ultimi Star Wars o a Spider-man 3, o a Indiana Jones 4 casi evidenti di sceneggiature orrende in una cornice visiva lussuosa.

    Di solito quando fai notare lo script traballante, il cinefilo ti dice: chissenefrega se la storia non c’è, il film è fighissimo!

    Bisognerebbe decidersi. O di qua o di là.

    Quest’anno non ho seguito il programma di Torino, e quindi non saprei dire se fosse pieno di film che non avevano nulla da dire oppure fosse un programma interessante.
    La mia domanda però è: cosa cerca l’appassionato di cinema quando va a un Festival specie al Festival di Torino (che, per inciso, è stato per anni lo spocchioso festival dei cinefili, dove "qui si che si vede il cinema, altro che Venezia"?
    Che vuole il cinefilo? Storie che gli confermino il mondo in cui vive, i suoi valori e punti di riferimento, i suoi giudizi e pregiudizi, il caldo rassicurante della conferma alle sue opinioni, oppure egli desidera essere scioccato, messo in crisi nei suoi punti di vista – etici ed estetici – , desidera aprire la mente a nuove avventure (non solo visive e sensoriali, ma anche di storie diverse)?

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  5. anonimo

     /  24 novembre 2009

    Condivido pienamente quanto ha scritto Legolas in questi 2 commenti sul Tff. Sono tornato a casa molto deluso dal festival, anzi ho anticipato di un giorno la mia partenza. Ho visto molti film mediocri. Legolas ne riassume il motivo in modo più che esauriente.
    "A questo punto avvio una riflessione: è più che palese che quel che funziona in questo film è la sceneggiatura, così come in altre opere viste a Torino (indimenticabile anche Transmission…), e la cosa si fa deleterea quando si va a scorrere il catalogo delle opere in concorso, ma non solo. Storie trite e ritrite e prive di qualunque tipo di interesse, mancanza di un qualunque scopo comunicativo, al cinema (dalla parte di chi lo fa) c’è un sacco di gente che non ha nulla da dire o che non sa come dirlo. Forse bisognerebbe ricominciare a leggere, o forse semplicemente allenarsi a scrivere, o ancor più semplicemente non parlare solo per far prendere aria alle gengive."
    Grazie Legolas

    il riccio

    Rispondi
  6. @souffle: questione complessa. A mio parere non è necessaria (sempre) una buona sceneggiatura per fare un buon film, ma ci vuole (quello sempre a meno di casi davvero rarissimi) almeno un soggetto interessante o uno spunto narrativo sul quale poi sviluppare la regia e tutto il resto.
    Sul Torino Film Festival, altra questione difficile, io credo che sia un festival "utile" e meritevole di esistere (a differenza forse di altri, ma questa è un’altra storia) anche se troppo dispersivo. Troppe sezioni e, onestamente, troppi film. Difficile trovare una direzione in quello che è stato presentato.
    Il TFF, oltre alle opere prime (o seconde) del concorso di autori sconosciuti, ha però il pregio (a mio parere) di non cercare per forza, soltanto, anteprime mondiali… ma anche di presentare film già visti in altri festival stranieri (Berlino e Cannes in primis) che forse non arriveranno mai nelle nostre sale. Un esempio è "Kinatay", premio miglior regia a Cannes, e saggiamente proposto al pubblico torinese.
    Un’umiltà questa che è davvero rara in un festival.
    Personalmente, sono solo tre anni che io seguo questa manifestazione e la trovo sempre (seppur ripeto, troppo dispersiva) molto interessante.

    @ilriccio: parole condivisibili quelle di Legolas. Molta mediocrità sicuramente, anche se difficilmente si è scesi (a parte, fra le cose che ho visto io, 2-3 casi) sotto questo medio livello, ma sono state presentate però anche delle buone cose. Non dimentichiamo che i commenti da Roma (amici, critici, appassionati) parlavano di una media di due film buoni nel corso di tutto il Festival… io non ci sono stato, ma non lo rimpiango di certo.
    Del TFF, sui giornali si è poco parlato (ad esempio) di "The Shock Doctrine" che per me è un buon film e, per riprendere il discorso precedente fatto con Souffle, è stato proposto più che saggiamente a Torino dopo la sua anteprima mondiale al Festival di Berlino.

    Saluti e grazie per i commenti interessantissimi

    Chimy

    Rispondi
  7. anonimo

     /  24 novembre 2009

    Rispondo un po’ a tutti e un po’ deluso dal fatto di non poter polemizzare con nessuno (scherzo), dato che sono d’accordo in linea di massima con quanto detto da tutti.
    Per quel che riguarda la scrittura di un film, concordo sul fatto che la sceneggiatura può anche non essere impeccabile e comunque dare vita ad un’opera buona, se non ottima, o interessante, ma qui il livello delle sceneggiature prese in esame è talmente risibile che non fa altro che inficiare il lavoro registico, il quale, in alcuni casi, primo fra tutti la prima parte di Pontypool, risulta più che degno. E al di là di ciò, veramente spesso si ha così poco da dire che il dirlo bene non può bastare; ma questo è un discorso applicabile anche ad altri ambiti, vedi arte e letteratura.
    Per quel che riguarda il festival di Torino io ne sono rimasto comunque sorpreso, pur seguendolo solo da un paio d’anni: da un festival ciò che ci si aspetta è proprio la possibilità di vedere film e opere che altrimenti risulterebbero irrintracciabili, e in questo il festival fa il suo dovere, il livello mediocre delle opere non può essere certo attribuito agli organizzatori. Che poi Torino sia meno mainstream di altri festival (vedi Roma) o più spocchioso, questo è indubbio, ma una mediazione risulta d’obbligo. Anche perché essendo molte opere realizzate da esordienti e comunque novizi, si spera che questi non si presentino armati della spocchia dei grandi autori ancor prima di aver iniziato il proprio percorso come tali (emblematico il caso Transmission), forse da parte di alcuni servirebbe solo un po’ più di umiltà e la capacità di capire che prima di prendersi determinate libertà in campo cinematografico bisognerebbe dimostrare il proprio valore con lavori più semplici e/o lineari.
    Detto ciò a Torino ho visto anche cose interessanti (The Shock Doctrine purtroppo l’ho perso), e in ogni caso le cadute esistono in ogni festival, anche di caratura più importante. Ricordo per esempio il film di Sally Potter presentato a Berlino lo scorso anno, davvero scioccante.
    La mia critica non è globale e non è certo rivolta ad un festival che dà la possibilità (rara) di vedere opere di ogni tipo, è solo una riflessione sulla deriva della scrittura cinematografica, cosa a cui sono particolarmente legato. Da parte mia, io sarò sempre dalla parte dell’opera con una buona sceneggiatura, piuttosto che dalla parte dell’opera visivamente fantastica ma senza uno script all’altezza, ma questa è solo un’opinione personale e per certi versi anche piuttosto "classicheggiante".
    Ultimo appunto per Chimy: di Calvagna recupera "Il lupo", ne vale veramente la pena…. Ghezzi di lui disse "è il Tarantino italiano". Vedere per credere…
    Saluti a tutti

    Legolas

    Rispondi
  8. anonimo

     /  24 novembre 2009

    Il mio commento si è perso nel magnifico aere di Splinder… magari un giorno riapparirà…
    E cmq mi ero dimenticato di commentare l’uscita del seguito di Pontypool… Ora sì che ho una ragione di vita, credo che mi farò ibernare fino all’uscita in modo da non dover soffrire l’attesa…

    Legolas again

    Rispondi
  9. Concordo con moltissimi dei tuoi punti, come sai.
    Andrò a recuperare Calvagna allora.

    E soprattutto: preparo la camera d’ibernazione!

    Ciao 🙂

    Chimy

    Rispondi
  10. quando Bruce Mcdonald perde il controllo come un fiume rompe le dighe della decenza….
    la seconda parte di pontypool è puro delirio narrativo, un baratro nel quale si continua a cadere fin oltre i titoli di coda
    ne vogliamo ancora Bruce, e ne avremo a quanto pare ^^
    la situazione è complessa, parlando di narrazione e di script, scrivere uno script significa comunque avere in mente delle immagini, secondo me, e mi è del tutto impensabile scrivere ad esempio un corto senza avere una certa idea di quelli che dovrebbero essere i movimenti di macchina etc., il che forse perché sono abituato ad un certo tipo di narrativa "per immagini" ed il passo in quel caso è assolutamente breve
    ora la contaminazione reciproca tra letteratura e cinema di questi tempi è oramai esplosiva, quindi sono d’accordo con legolas quando dice che bisogna tornare a leggere per fare cinema (e viceversa, bisogna entrare nelle sale cinematografiche per poter scrivere)
    quello che volevo sottolineare è che l’opera comunica (perché se l’opera non comunica io di quell’opera non so cosa farmene) attraverso diversi canali di riflessione (ora io voglio assolutamente difendere il tff, perché di opere buone io ne ho viste, alcune magari non pienamente riuscite ma comunque da premiare per lo sforzo comunicativo, opere tra le quali non rientra ovviamente transmission ^^): sociali (Loach), estetitici (Sokurov), socioestetici (Haneke). è una constatazione del tutto sommaria ma riassume il mio pensiero
    quello che conta non è valutare la sceneggiatura in sé, sarebbe ingiusto, ma valutare il suo valore dentro l’audiovisivo (in quanto produce "verbo")
    e anche la regia non la si può "estrarre" dal film, ovviamente un film che non ha nulla da dire ma lo dice bene non è così difficile da realizzare, basta avere la "mano" e i mezzi.
    dietro ogni opera d’arte (e per me il cinema è assolutamente e totalmente arte, anche se non è così per una grande fetta di spettatori, e con questo non voglio muovere critiche, ma fare constatazioni) ci deve essere una urgenza, altrimenti non riesce a smuovere nulla
    l’arte è un dono (mi piace ricordare che questo la distingue, facilmente, dalla pubblicità) e ovviamente nel "pacchetto" è lecito aspettarsi qualcosa
    questo per dire che se uno non vuole comunicare (in uno di quei tre modi che ho sommariamente elencato sopra), ma unicamente divertirsi e autocompiacersi, è bene che si dia ad altre attività
    avevo un altro concetto in mente, per parlare di script nell’audiovisivo, quello che magari se "letto" è ininfluente (un personaggio che gira intorno ad una balena di cartapesta, tanto per citare un esempio a me caro) quando viene "visto" e "sentito" può diventare trascinante, trascinarti in una visione del mondo e dell’arte perfino sconvolgente. http://www.youtube.com/watch?v=bi9urRRuHUU&feature=related&nbsp; siamo sicuri che si possa scrivere una cosa così?
    chiedo scusa per aver scritto ste quattro cazzate ^^

    Rispondi
  11. "quello che conta non è valutare la sceneggiatura in sé, sarebbe ingiusto, ma valutare il suo valore dentro l’audiovisivo "

    Frase che condivido in pieno. Così come il discorso cinema-arte come già sai…
    Non vale però mostrare quel segmento… sai bene che sono debole e rischio di commuovermi ogni volta ^^.

    Cmq gran bell’intervento Dome, sta nascendo una bellissima discussione (cosa sempre più rara, purtroppo, nei blog)

    Un saluto

    Chimy

    Rispondi
  12. anonimo

     /  25 novembre 2009

    Quando qui parlo di scrittura, naturalmente mi sto sempre riferendo alla scrittura per il cinema, quindi slegare il concetto di scrittura dall’immagine in questo caso sarebbe erroneo.
    E’ naturale che il cinema è una forma espressiva che non può essere paragonata alla letteratura, e senza andare ad approfondire il tema delle contaminazioni e delle trasposizioni, non si può certo non tenere conto di tali differenze. Quando si scrive un film si dovrebbe sempre avere in mente l’immagine a cui quella scrittura si associa (e qui ci sarebbe da introdurre un ulteriore discorso sugli storyboard, pratica, ahimè, in Italia molto sottovalutata), ma la bravura di uno scrittore per il cinema sta proprio nel riuscire a congiungere un valore narrativo ed uno espressivo. Una sceneggiatura non andrebbe mai valutata in quanto scritto, ma in quanto base per la realizzazione di un film, e su questo sono d’accordo. Ma quel che ho notato nei casi ormai tristemente noti di Pontypool e Transmission è il fatto che anche durante la proiezione filtravano dei buchi di sceneggiatura che non potevano se non essere notati, e per chi ne ha i mezzi e le conoscenze risulta impossibile non additare determinate fasi della realizzazione come più lacunose di altri. Nei casi sopracitati, ma più in generale per quel che ho letto e visto quest’anno a Torino, a me pare proprio che manchi quell’urgenza comunicativa di cui honeyboy parlava in modo esemplare.
    Per concludere il discorso sull’ultima affermazione di honeyboy, non posso che trovarmi d’accordo anche in questo caso, ed è proprio in casi come questo che si vede la bravura di chi fa cinema. Durante la scrittura, il semplice fatto di inserire una scena che, se solamente letta, sarebbe riusltata ininfluente e durante lo shooting il renderla così toccante e pregna di significato è la perfetta esemplificazione di una commistione tra scritto e visuale che solo il cinema (quello fatto bene) può creare.
    Ma nonostante ciò penso che nessuno sarebbe riuscito a salvare uno script del tipo:

    Mazzy staring at the woman
                                        
                                              MAZZY
                        Kill is unkil… no… not that… Kill is kiss

    (ho inventato, ma l’esempio è tragico comunque…)

    Legolas

    Rispondi
  13. Altro gran commento. Quoto in particolare questa frase:

    "la bravura di uno scrittore per il cinema sta proprio nel riuscire a congiungere un valore narrativo ed uno espressivo"

    Sarebbe buono se gli sceneggiatori di oggi avessero bene in mente questo concetto, ma spesso non è così…

    Kill Is Kiss…Kill is Kiss…Kill is Kiss…

    Chimy

    Rispondi
  14. nemmeno orson welles avrebbe potuto fare qualcosa per salvare una scena scritta così (ma non credo nemmeno che avrebbe mai accettato di girarla…), in quel caso si può solo depennare il tutto (e se possibile defenestrare lo sceneggiatore ^^)
    ovviamente però questo esempio sta all’altro estremo della bilancia, ci sono le immagini trascinanti come le scritture orripilanti, nello specifico, la mancanza del tutto immotivata di una qualsiasi logica narrativa (e quello che stupisce sono gli applausi finali (a parte i miei che erano ironici ^^), perché diamine è davvero impossibile non accorgersene…). ora io della coerenza del racconto (ma questo dipende dall’ambito, se è un film che descrive una realtà possibile e non alternativa non si può tollerare che, faccio un esempio, un personaggio sia in manette in una inquadratura e in quella successiva saltelli libero per le strade, ma se è un film dadaista, o il viaggio nella mente di un uomo, o fantascienza le cose cambiano) e della sua credibilità (nel cinema può sostanzialmente accadere l’incredibile, con le stesse considerazioni precedenti) non sono un grande sostenitore, ma il problema gravisimmo è che questo film la stava cercando con forza (e cercando mano a mano di dare credibilità alla cosa non faceva altro che pasticciare, peggiorando di volta in volta la situazione, fino al baratro di "kill is kiss"). credo comunque che lo spettatore vada ingannato a dovere, presentandogli un universo (anche fatto di sogni e di pulsioni vitali) nel quale possa immergersi.
    bruce "non ci credo" mcdonald

    Rispondi
  15. Citare "Vogelfrei" è davvero troppo! :p

    Aggiungo una questione al discorso, non del tutto inerente ma che comunque credo sia interessante materia di discussione.

    Anticipo che è un discorso che quest’anno ho già fatto varie volte: personalmente uno degli elementi che trovo più interessante del cinema dell’ultima stagione (o ultime due), siano delle novità nel genere della fantascienza.
    Genere che, come si sa, è sempre in bilico su un filo etc etc
    La fantascienza invece quest’anno ha fatto ottime cose, e l’ha fatto grazie soprattutto a delle splendide sceneggiature. Parlo di "District 9", del nuovo "Star Trek" (che vive proprio grazie a uno spunto, geniale, narrativo) e anche di "Wall-E" (Why not?). Non che questi film siano girati (o fotografati) male, tutt’altro, ma il loro primo punto di forza sta nella sceneggiatura: grazie ad essa la fantascienza, genere visivo per eccellenza, con questo paradosso continua (e bene) a vivere.

    Un saluto

    Chimy

    p.s. Bruce "We Love U" McDonald

    Rispondi
  16. Splinder è andato a recuperare i primi McDonald…

    Rispondi
  17. anonimo

     /  25 novembre 2009

    Va beh ma io sto scrivendo una tesi sulle trasposizioni delle opere di Philip Dick, citarmi la fantascienza non vale…
    District 9 lo devo recuperare, ma ne parlano tutti un gran bene.
    Prendendo spunto dall’osservazione di Chimy mi permetto di aggiungere che non solo la fantascienza, ma anche l’horror (dal ritorno di Romero, al ritorno di Raimi, al filone vampiresco che va, con alterne vicende, da Lasciami Entrare a Twilight, e tutto ciò che ci aspetta la prossima stagione) ha ripreso una vitalità che non si vedeva da anni. Ricollegando il tutto al discorso sulla credibilità portato all’attenzione da honeyboy, non si può pensare che si senta un bisogno di ritornare ad una narrazione credibile, per quanto pocop verosimile, e ad una necessità narrativa che nelle opere che potrei definire, malamente, "generaliste" si sono un po’ perse?

    Legolas

    Rispondi
  18. Già, anche l’horror in parte. E la cosa interessante di queste nuove sceneggiature di fantascienza è che non hanno fonti da libri (altra tradizione del genere, e tu che lavori su Dick lo sai bene), ma da invenzioni narrative "molto cinematografiche".

    Chimy

    Rispondi
  19. anonimo

     /  28 novembre 2009

    Approfitto della discussione per fare dello spam. In realtà un po’ lo è, ma il concetto si lega bene a questa discussione.
    Gianni Canova, stimato critico cinematografico, ha deciso di dedicarsi alla letteratura, allontanandosi dal suo stile di scrittura, e per farlo ha deciso di pubblicare un horror. Che sia un segno dei tempi? Che un critico cinematografico ritorni alla scrittura, gettandosi sul romanzo di genere, con in mente già da ora una versione cinematografica del tutto? E’ un po’ l’universo di cui stavamo parlando che collassa e che si fas unità. Cinema/letteratura/narratività recuperata. Sarebbe da scriverci un saggio su queste nuove tendenze, magari firmato dal buon Chimento, che oramai in quanto a pubblicazioni ci spacca il culo a tutti. A proposito, a quando l’uscita del libro?
    Saluti e spam: http://www.giannicanova.it

    Legolas

    Rispondi
  20. Grazie per il link Legolas, molto interessante (già il sito m’ispira) e lo leggerò con piacere.
    Ci si potrebbe lavorare insieme a quel saggio e sull’argomento ne sapete di più tu e Honeyboy di me (e penso in generale di noi coinvolgendo il caro Para) ma è un tema che mi stimola molto. Sul libro dovremmo quasi esserci, ancora un pochino di pazienza :p

    Ciao, buona serata e buona domenica

    Chimy

    Rispondi
  21. sugli adattamenti ho cercato di scrivere qualcosa e qualcosa d’altro scriverò.
    Io credo che, quando si parla di film, specie con riferimento al cinema americano, romanticamente si dimentichi che il cinema, come l’editoria, produce anche tantissimi prodotti professionali e "industriali" che hanno lo scopo di fare denaro. E sui quali non ha senso sputare.
    Senza il denaro prodotto da questi prodotti non ci sarebbero i cd. "film d’arte" che non fanno un euro e sono un bagno di sangue per chi poi deve pagare le bollette…
    (queste cose le sa chi lavora nel settore…)

    Che poi in passato grandi registi inseriti nel sistema industriale di hollywood (Ford, Hawks, Wilder, Minnelli, Capra, ecc. ma anche Kubrick) facessero anche film adorati dai cinefili, non toglie che rispettassero il piano di produzione e non volessero fare perdere soldi allo Studio.

    Kubrick, detto tra noi, si informava degli incassi del weekend… L’ho sentito io in una conversazione con Riccardo Aragno, adattatore italiano di tutti i film del regista.

    Se avete l’occasione di vedere il documentario sugli 85 all della WB, uno degli studi più "trasgressivi" di Hollywood sentirete Eastwood ricordare come è importante non sforare il budget e come se hai una buona sceneggiatura hai il 50% del film. L’altro 40% lo fa il cast. A te regista rimane il 10% per rovinare tutto. ^^

    Fitzgerald ha scritto alcuni dei suoi migliori racconti per pagare l’affitto.
    E Hitch ne La finestra sul cortile mette tutti coi piedi per terra:
    quando Grace Kelly sentendo il suonatore di piano si domanda dove trovi l’ispirazione per una musica così bella, James Stewart le risponde: "Gliela dà il padrone di casa ogni fine del mese".

    concludo dicendo che anche per me è importante che un film spiazzi lo spettatore, non lo conduca fino alla fine tenendolo per mano, ma anzi lo lasci spaurito e solo davanti alle immagini, lasciandogli la possibilità di fare le sue scelte di senso.

    Una volta un cineblogger mi disse che non era compito del cinema cambiare una persona.
    Io penso invece, che, se vogliamo dare la patina di "arte" ad un film, essa risieda sopratutto nella capacità di cambiare chi guarda, di fargli scoprire l’altro da sè.
    Se un film mi dice cose che so già, sulla vita, sull’amore, sulle persone, che senso ha?

    Le nostre fobie, la nostra ignoranza, la nostra cattiveria nascono dalla mancata conoscenza dell’altro.
    Ma se restiamo sempre nel nostro orticello rassicurante, non cresceremo mai.

    Il cinema da vedere è quello che non abbiamo mai visto, quello che non sceglieremmo mai.
    Non ha senso (ri)vedere sempre gli stessi registi, gli stessi film, rassicurati per il (nuovo) capolavoro.
    Bisogna esplorare, strani, nuovi mondi, per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima.
    Quello che serve sono percorsi diversi. 🙂
    Buona serata

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  22. Ciao Souffle, molto interessante e condivisibile tutto il tuo discorso.

    Sulla "prima parte" ero rimasto particolarmente colpito leggendo quelle parole di Eastwood (le avevo lette da te) che non mi aspettavo onestamente. Tra l’altro la conclusione è degna dei migliori (e ironici) personaggi che ha interpretato 🙂
    Ancor più d’accordo sono però sulla "seconda parte" del tuo intervento, perché se il regista ci accompagna per mano fino alla fine, il film rischia di valere davvero poco.

    C’è però una tua frase (in particolare) che mi ha colpito moltissimo e che terrò presente in futuro:

    Il cinema da vedere è quello che non abbiamo mai visto, quello che non sceglieremmo mai.

    Davvero formidabile.

    Grazie del tuo commento e grazie ancora a tutti quelli che stanno partecipando a questa discussione che diventa man mano sempre più fertile e importante.

    Un saluto

    Chimy

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